Vaticano
La ragione di un papa. Ratzinger e l'importanza del linguaggio
Altro che “rottweiler di Dio”. La propensione di B-XVI per l’insegnamento e il suo dono per la predicazione erano un richiamo della Chiesa alla sua giovinezza. La sua teologia era aperta e vivificante, non certo strumento delle ideologie
Rowan Williams è stato arcivescovo di Canterbury fino al marzo 2013. Il testo qui pubblicato è tratto dal discorso pronunciato il 24 gennaio 2023 nella cattedrale di Westminster durante la cerimonia dei Vespri ecumenici celebrata in onore di Benedetto XVI. Il testo è inserito nel nuovo numero della rivista Vita e Pensiero (5/2024) in uscita il 20 novembre.
Essere fratelli e sorelle nel Corpo di Cristo significa riconoscere che le nostre connessioni sono connessioni d’amore; che il più profondo dei doni che dobbiamo scambiarci vicendevolmente è l’amore; che sia- mo congiunti nel Corpo, affinché il nostro amore possa dare vita. E se vogliamo darci la vita gli uni gli altri, dobbiamo conoscere e poter parlare di ciò che ci dà unità. Ciò significa un’unità che non è semplicemente un insieme di formule di compromesso, non è semplicemente un insieme di negoziati dolorosi ma molto ben riusciti, bensì il senso profondo e grato di ricevere la vita dal nostro prossimo, in primo luogo dal nostro prossimo nel Corpo di Cristo, ma anche dai prossimi che appartengono alla più ampia famiglia umana, che sono tutti accolti nell’unità nello sguardo e nell’amore di Dio onnipotente.
Papa Benedetto credeva con tutta la mente e con tutto il cuore in un’unità di questo tipo. Non era un uomo facile ad accordi ecumenici, non era un uomo da compromesso dottrinale. Eppure, proprio perché credeva che la Chiesa esistesse semplicemente per merito della chiamata di Dio in Gesù Cristo, egli ha potuto orientare costantemente i nostri pensieri e le nostre preghiere a quel livello profondo di connessione e di dono reciproco nel quale soltanto possiamo fiorire come amici di Cristo, fratelli e sorelle di Cristo e, in definitiva, come coloro che, insieme a tutta la famiglia umana, riflettono la gloria di Dio a Dio come immagine e somiglianza di Dio. Avvicinarsi a Papa Benedetto in questo modo significa forse cominciare a dare un senso a due aspetti del suo pensiero e della sua testimonianza che saranno di valore duraturo per tutte le comunità che si definiscono cristiane e, speriamo e preghiamo, per tutte le comunità che si definiscono umane.
Joseph Ratzinger non era un uomo facile ad accordi ecumenici, non era un uomo da compromesso dottrinale
Il primo ha a che fare con il modo in cui Papa Benedetto ha sviluppato la sua teologia. Spesso frainteso come semplice conservatore, l’impegno teologico più profondo di Papa Benedetto appartiene a quel grande movimento teologico della metà del secolo scorso che auspicava il ritorno alle fonti. Ritornando a quelle fonti di comprensione, immaginazione, preghiera e pensiero che si erano sviluppate durante i primi secoli della Chiesa. Quelle fonti, soprattutto nell’arco temporale del primo millennio, restano profondamente vive e vivificanti per tutti i cristiani. Nel ritornare, insieme a tanti teologi di quella scuola, soprattutto in Francia ma anche in Germania, a quelle fonti, Papa Benedetto in effetti stava dicendo a noi, in quanto cristiani, che una delle priorità più grandi e più significative è essere capaci di riconoscere il linguaggio dell’altro come radicato in quell’esperienza formativa che è la giovinezza della Chiesa.
La giovinezza della Chiesa. E’ un modo di dire che usiamo molto spesso e che ci viene in mente guardando la comunità cristiana? Non accade sempre – occorre ammetterlo – nella vita pratica delle congregazioni. Eppure, la Chiesa primitiva è la Chiesa giovane; e quando ritorniamo alla visione dei primi cristiani, non torniamo a qualcosa di vecchio, ma ci identifichiamo con qualcosa di nuovo, qualcosa che è fresco della novità del Vangelo e della teologia che ne deriva.
Nelle tre grandi encicliche di Papa Benedetto su fede, speranza e carità, si può vedere la giovinezza della Chiesa all’opera. Questi tre modelli di composizione ed esposizione teologica cercano di far emergere, alla piena luce dell’esegesi, della preghiera e della comprensione tradizionali, le ricchezze della visione scritturale della vita vissuta nella fede, nella speranza e nell’amore. Queste encicliche non sono appesantite dall’erudizione, anche se ne sono impregnate. Non sono propriamente scolastiche, benché siano attentamente argomentate. In questi testi, considerati tutti assieme, sentiamo la voce di Papa Bene detto come maestro e predicatore del Corpo di Cristo. “Se il tuo dono è l’insegnamento, usalo per insegnare, lascia che i predicatori tengano i sermoni”. E così lui ha fatto. La sua propensione per l’insegnamento, il suo dono per la predicazione, era infatti un richiamo della Chiesa alla sua giovinezza.
Nelle sue tre grandi encicliche su fede, speranza e carità, si può vedere la giovinezza della Chiesa all’opera
Un secondo aspetto del suo pensiero che, ancora una volta, credo, conserva un valore duraturo e profondo è l’enfasi che poneva sulla ragione umana. Una cosa insolita su cui insistere, potremmo dire, in un periodo in cui ci è stato insegnato a essere molto sospettosi nei confronti del “razionalismo” sia da credenti che da non credenti. Ma ricordiamo da dove viene l’ispirazione teologica di Papa Benedetto. Viene da un’epoca della vita della Chiesa in cui la “ragione” era vista non come strumento di argomentazione, ma come veicolo di visione. Fu la nostra capacità di ragionare che ci ha permesso di contemplare e insieme di meravigliarci del mondo, di vedere l’ordine della creazione e di parteciparvi. Una famiglia umana che non crede nella ragione è una famiglia inguaribilmente e irrimediabilmente divisa – non perché alcuni sanno come argomentare meglio di altri, ma perché abbiamo perso di vista la nozione che ciò che Dio ci dà è la capacità di ascoltarci a vicenda e di imparare gli uni dagli altri in un mondo comune.
Senza il dono di un linguaggio ragionato e ordinato da condividere gli uni con gli altri, alla fine non condivideremmo lo stesso mondo. Ci ritireremmo nei nostri angoli. Combatteremmo per le nostre vittorie. L’approccio di Papa Benedetto a coloro che sono al di fuori del corpo cristiano e al di fuori della Chiesa cattolica romana era profondamente radicato in quella visione di una possibilità per gli esseri umani di parlare tra loro, di ascoltarsi a vicenda, di meravigliarsi insieme del mondo. “Venite e discutiamo”, dice il Signore a Isaia nella profezia, ed è una conclusione ragionevole poiché si potrebbe dire che il Signore non intende “litighiamo insieme”. Ragioniamo insieme, esploriamo insieme, troviamo insieme che cosa ci rende umani, nella ferma speranza e nella fiducia che esiste davvero un’umanità condivisa. Quando Papa Benedetto si avvicinava ad altre comunità di fede, lo faceva con questa speranza e fiducia di poter trovare un modo di ragionare insieme.
Quando, all’inizio della sua carriera, Papa Benedetto lavorava presso la Congregazione per la dottrina della fede, fu considerato da molti, com’è noto, come il cane da guardia dell’ortodossia; il “rottweiler di Dio”, veniva chiamato talvolta. Eppure, se si esamina ciò che egli aveva effettivamente da dire sulle teologie nei confronti delle quali era scontento, ciò che sembra emergere di continuo è la sua riluttanza ad accettare qualsiasi teologia che abbia al suo centro qualcosa di diverso dal dono di Dio in Cristo. Credeva profondamente e coerentemente che una teologia che dipendesse, per i suoi criteri, le sue speranze e le sue categorie, da qualcosa di diverso da ciò che Dio ci ha dato, fosse una teologia che sarebbe finita con l’essere un ulteriore strumento dell’ideologia, dell’esclusione, del privilegio e del conflitto. Ed esponendo la sua teologia nelle tre grandi encicliche, questa è la visione che egli desidera condividere.
Questo è ciò che unisce la comunità credente. Può esprimersi e allearsi con linguaggi di altre visioni e altre filosofie di quando in quando; ma cos’è che la rende il pane quotidiano di una comunità credente? Solo porre Cristo, il Pane della Vita, al suo centro. Quindi, se guardiamo indietro alla vita, alla testimonianza e all’insegnamento di Papa Benedetto, questi sono i due temi su cui dobbiamo soffermarci, da celebrare e da cui imparare.
Guardando indietro alla giovinezza della Chiesa, non attraverso una visione idealizzata di purezza primitiva (non è che il primo millennio della Chiesa fosse del tutto esente da conflitti…), ma guardando indietro a quegli anni in cui la novità e l’eccitazione per ciò che Cristo aveva fatto avevano spinto la gente a compiere grandi voli di ragionamento ispirato che ci hanno dato i Credo e i Concili. Da quella giovinezza della dottrina cristocentrica possiamo trovare l’energia e la fiducia per parlarci come cristiani, anche attraverso le profonde divisioni e le ferite dei secoli che sono trascorsi da allora. Inoltre, mentre noi cristiani ci rivolgiamo al resto del mondo, ai fratelli e alle sorelle di altre confessioni religiose, la domanda nella nostra mente dovrebbe essere: come possiamo ragionare insieme? Come riconosceremo il mondo che condividiamo? E nel riconoscere il mondo che condividiamo, come riconosceremo il rispetto che possiamo scambiarci?
Papa Benedetto ci ha insegnato molto sul rispetto. Rimarranno nella mente i gesti profondi di rispetto che ha offerto agli appartenenti ad altre comunità cristiane, i gesti profondi di rispetto con cui si è avvicinato alle altre famiglie religiose. Era consapevole che, nella Chiesa da lui guidata e servita, il rispetto non è stato sempre storicamente così visibile; ed è stato sollecito più di una volta a riconoscere dove, dentro la Chiesa, alcuni avevano mancato, nel rispetto e nella fedeltà, verso coloro che Dio aveva dato loro come compagni, fratelli e sorelle.
Dio possa rinnovarci, dunque, nella giovinezza della Chiesa. Dio ci insegni nuovamente cosa significa lasciarsi travolgere dalla scoperta della novità dell’agire di Dio in Cristo, affinché le nostre parole e i nostri pensieri, la nostra mente e i nostri cuori prendano il volo sotto la guida dello Spirito. Dio possa rinnovare in noi quella parola e quella ragione vivificanti, quella saggezza che dolcemente e pacificamente pervade tutte le cose, affinché possiamo trovare un linguaggio mediante cui parlare e ascoltare, e iniziare a costruire un mondo in cui saremo liberati da quella divisione mortale che l’opera di Dio, costantemente nel corso della storia, cerca di superare. Dio possa condurci all’unità della famiglia umana nella visione dell’Onnipotente, visione nella quale la fede, la speranza e l’amore ci rendono liberi di vivere la libertà divina per la quale siamo stati creati, quella libertà divina per la quale il nostro defunto fratello Benedetto tanto ha faticato e che tanto ha amato.
Traduzione di Simona Plessi
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