In libreria
Dio non è morto, ma all'occidente conviene pensarlo. Il nuovo libro del cardinale Sarah
“Una società senza trascendenza può diventare la culla di un terrorismo etico e morale più distruttivo del terrorismo islamista”. Un estratto del volume edito da Cantagalli
Pubblichiamo un estratto di “Dio esiste?”, il nuovo libro del cardinale Robert Sarah, edito da Cantagalli e da oggi in libreria (320 pp., 25 euro). In questo libro, il cardinale Sarah risponde a molte domande sull’esistenza e la reale presenza di Dio nella nostra vita, sul suo apparente silenzio, sulla morte, sulla sofferenza, sul dolore e la gioia.
Ritiene che in occidente Dio sia morto?
Questa affermazione, “Dio è morto”, in realtà nasconde un’accusa. L’accusato è l’uomo, non Dio, l’uomo che, abbandonato Dio, prende strade verso il nulla. Un nulla che si identifica con la dimenticanza di sé, l’ubriacatura di ideologie o quella più concreta della fuga dalla realtà data da alcolismo e droghe, da consumismo e perdita di appartenenza ad una comunità, l’oppressione dell’uomo sull’uomo. La “morte di Dio” è una comoda espressione per giustificare il rinnegamento della fede in Lui. (...) La società occidentale, per mezzo dei poteri che orientano le scelte personali e che dettano le norme della convivenza, ha scelto di organizzarsi senza Dio: adesso appare abbandonata alle luci appariscenti e ingannevoli della società dei consumi, del profitto a tutti i costi e dell’individualismo frenetico. Questa è la più cocente dimostrazione che un mondo senza Dio – un mondo dal quale l’uomo ha preteso di espellere Dio, se ciò fosse mai definitivamente possibile – è un mondo di tenebre, bugie ed egoismo.
Dio non è morto, ma senza la sua luce la società occidentale è diventata come una barca alla deriva nella notte. Non c’è abbastanza amore per accogliere i bambini, proteggerli nell’utero della madre, difenderli dall’aggressione della pornografia. Priva della luce di Dio, la società occidentale non sa più rispettare i suoi anziani, accompagnare i malati alla morte, dare spazio ai più poveri e ai più deboli. E’ abbandonata all’oscurità della paura, della tristezza e dell’isolamento. Non ha altro da offrire che il vuoto e il nulla. Permette alle ideologie più folli di proliferare. Una società occidentale senza Dio può diventare la culla di un terrorismo etico e morale più virulento e più distruttivo del terrorismo islamista. Ricordate che Gesù ci ha detto: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10,28).
Questa descrizione è certamente cruda, ma bisogna essere lucidi e realisti. Parlo in questo modo perché nel mio cuore di sacerdote e di pastore provo compassione per tante anime disorientate, perdute, tristi, angosciate e sole. Chi le condurrà alla luce? Chi mostrerà loro la via della Verità, l’unica vera via della libertà che è quella della Croce? Le lasceremo cadere nell’errore, nel nichilismo senza speranza o nell’islamismo aggressivo senza fare nulla? (…)
Se Dio non è morto, come crede si possa convincere l’uomo contemporaneo che Dio è vivo ed è fondamentale per la nostra vita?
Il problema dell’uomo occidentale, oggi, è che vive come se Dio non esistesse. La maggior parte delle popolazioni occidentali non vede ormai in Gesù nient’altro che una specie di idea, ma non un fatto e ancora meno una persona. Per di più Dio è visto come un indicatore di principi morali e dunque come un ostacolo alla nostra libertà, alla nostra piena autonomia e realizzazione umana. E’ per questo che Benedetto XVI insiste dicendo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un Avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. L’uomo contemporaneo, l’uomo occidentale in particolare, vive il male del relativismo, di cui il nichilismo è diretta conseguenza, cosicché si lascia portare “qua e là da ogni vento di dottrina” (Ef 4,14), e sembra questo l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
In un sistema relativista, tutte le vie sono possibili come molteplici frammenti del cammino del progresso. In tale contesto, il bene comune sarebbe il frutto di un dialogo continuo con tutti, l’incontro delle diverse opinioni private, una torre di Babele fraterna, in cui ciascuno possiede una particella di verità, nell’obbligo “aggressivo” di credere che non esista alcuna verità superiore. La più scontata delle conseguenze è che l’uomo si crea la sua religione, popolata di molteplici divinità, più o meno patetiche, che nascono e muoiono a seconda delle pulsioni, in un mondo che ricorda le religioni pagane antiche.
Cosa è accaduto nel mondo pagano che ha reso credibile la pretesa di Cristo e dei suoi discepoli?
La fede cristiana ha una pretesa assoluta: quella di investire ogni aspetto della vita ed illuminarlo, renderlo luminoso agli occhi propri e di chi ci guarda. Ha la pretesa di renderci specchio del Cielo. Anche il relativismo, nella sua apparente apertura e disponibilità verso tutte le scelte e le condotte della vita, ha una pretesa assoluta, pretendendo di essere l’incarnazione della libertà, fino a divenire una “gogna” totalitaria, in cui divieti ed obblighi si rincorrono, in un circo inesausto, accettando qualsiasi diminuzione dell’uomo e proclamando il contrario.
L’affermazione tipica del mondo contemporaneo, che nasce con la rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta del secolo scorso, per cui Dio non esiste, oggi è divenuta: “Che ci sia o non ci sia, poco importa: ciascuno è libero di credere ciò che vuole, purché in privato”. Questo rappresenta la negazione stessa del principio della libertà di espressione, oltre che della libertà religiosa. L’uomo occidentale ha precluso la strada a qualsiasi pretesa di ricerca veritativa: se tutto è uguale, nulla conta più.
Esiste una forma di rifiuto dei dogmi della Chiesa, o una distanza crescente tra gli uomini e i dogmi, cioè quanto Gesù ha insegnato su Dio e la vita eterna, fino a mettere in dubbio la veridicità di quanto i Vangeli riportano, sia riguardo alla testimonianza di fatti straordinari sia riguardo ai giudizi espressi dalla primigenia comunità cristiana e fedelmente trasmessi nei secoli, sino ad oggi.
Si è fatta strada la convinzione che il liberalismo morale porti a un progresso della civiltà; d’altro canto l’osservazione della realtà evidenzia come questo preteso progresso sia, in realtà, una decadenza morale ed antropologica, una nuova forma di pagane- simo che ha desacralizzato l’uomo e le sue relazioni: si pretende che sia un diritto la determinazione di chi abbia diritto a vivere, e ne fanno esperienza i più fragili: l’uomo nelle viscere di sua madre, l’anziano, il debilitato, il disabile, ultimamente abbandonati e convinti di essere un peso per la società, per gli amici, e perfino per la famiglia. Le realtà del limite, della sofferenza e del dolore, private della loro prospettiva di salvezza e di bene eterno, sono insopportabili e Dio viene chiamato a giustificarsi. Mentre da un lato si pensa che, a motivo della bontà infinita del Signore, tutto sia possibile, anche se non si cambia niente nella propria vita, dall’altro si pretende che le proprie scelte non abbiano alcuna conseguenza negativa o imprevista.
E’ il mondo che deve cambiare atteggiamento o la Chiesa deve cambiare la sua fedeltà a Dio?
Se non usciamo dalla cultura della morte, l’umanità si avvicina alla perdita di se stessa. C’è una guerra dichiarata contro la vita. Come si fa a concepire il fatto che così tanti bambini vengono eliminati dal grembo delle loro madri, col pretesto di un diritto della donna alla libertà del proprio corpo? Nel frattempo, la nuova battaglia “ideologica” della postmodernità occidentale è diventata l’eutanasia. La distruzione della vita non è più un atto barbarico, ma un progresso della civiltà; la legge prende a pretesto un diritto di libertà individuale per dare all’uomo la possibilità di uccidere il suo prossimo.
Se l’insegnamento della Chiesa non è compreso, non dobbiamo temere di rimettere cento volte mano all’opera. Non si tratta di addolcire le esigenze del Vangelo o di cambiare la dottrina di Gesù e degli apostoli per adattarsi alle mode evanescenti, ma di rimetterci radicalmente in causa sul modo in cui noi stessi viviamo il Vangelo e presentiamo il dogma.
La più grande difficoltà degli uomini non è credere quello che la Chiesa insegna sul piano morale; la cosa più dura per il mondo postmoderno è il credere in Dio e nel suo unico Figlio. La più grande preoccupazione deve restare Dio. I fini ultimi e l’eternità sono diventati una specie di immotivato peso psicologico. I cristiani stessi, in molte occasioni, si sono accomodati in un’apostasia materiale, prima ancora che filosofica. Ma per parlare di questo all’uomo di oggi, occorre la sua disponibilità, la disponibilità al silenzio.
Dio è avvolto nel silenzio e si rivela nel silenzio interiore del nostro cuore. Chi potrebbe parlare del silenzio, e soprattutto di Dio, in una forma adeguata? Possiamo tentare di parlare di Dio solo a partire dalla nostra propria esperienza di silenzio. Nel cuore dell’uomo c’è un silenzio innato, perché Dio abita nel profondo di ogni persona. Dio è silenzio, e questo silenzio divino abita l’uomo. In Dio, noi siamo inseparabilmente legati al silenzio. La Chiesa può affermare che l’umanità è figlia di un Dio silenzioso. Se cerchiamo di essere con Dio nel silenzio, possiamo forse comprendere qualcosa della sua presenza e del suo amore. Una Chiesa che parla senza interruzione, una Chiesa che non sa osservare il silenzio per contemplare la Parola di Dio, è una Chiesa che si è allontanata da Dio, una Chiesa scristianizzata, mondanizzata ed immersa in una società “chiacchierona”.
Davanti all’uomo che accusa Dio, per parlare a quell’uomo, per raccontare quale profondità di amore vive Dio per noi, è necessario fare silenzio. Silenzio: per poter noi ascoltare il Signore; silenzio in chi è alla ricerca di una risposta adeguata alla propria inquietudine, in chi osserva la tragedia dell’aver estromesso Dio, Dio nella persona di Gesù, Dio nella realtà della Chiesa, da Lui voluta come sua presenza nella storia. Dimentichiamo che l’origine dei nostri mali nasce dall’illusione che siamo qualcosa di diverso dalla polvere.
L’uomo, che si fa divinità, non vuole riconoscere che è un mortale. A prima vista possiamo credere che Dio permetta il male per distruggere gli uomini. Ma se Dio tace, soffre con noi per il male che ha lacerato e sfigurato la terra, e quel tacere – afferma san Giovanni Paolo II – “sfocia in una reazione simile al travaglio di una partoriente che s’affanna, sbuffa e urla. E’ il giudizio divino sul male, raffigurato con immagini di aridità, distruzione, deserto, che ha come meta un risultato vivo e fecondo”.
Molti dei nostri contemporanei non possono accettare il silenzio di Dio. Non ammettono che sia possibile entrare in comunicazione in modo diverso dalle parole, dai gesti o dalle azioni concrete e visibili. Credo che noi siamo vittime della superficialità, dell’egoismo e dello spirito mondano. Ci perdiamo in lotte per stabilire un’influenza sugli altri, in conflitti tra persone, in un narcisistico e vano attivismo. Ci gonfiamo di orgoglio e di pretese, prigionieri di una volontà di potenza. Per cercare titoli, incarichi professionali o ecclesiastici, accettiamo compromessi vili. Ma tutto ciò passa, si dissolve come il fumo. E’ necessario entrare nel silenzio. Senza di esso, ci troviamo in un’illusione. L’unica realtà che merita la nostra attenzione è Dio stesso, e Dio tace. Aspetta il nostro silenzio per rivelare Se stesso.
Editoriali
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