Il Papa: "In Ucraina e Palestina prevale la prepotenza dell'invasore"

La posizione della Santa Sede è questa, ha detto giorni fa il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin: criticare Israele, e il suo governo pro tempore, si può e non per questo si deve essere accusati di antisemitismo. Quel che sorprende è che una settimana dopo le polemiche seguite all'uso del termine “genocidio” Francesco torni sul tema ed equipari Israele alla Russia putiniana

Matteo Matzuzzi

Per la prima volta, il Papa mette nella stessa frase, definendoli “invasori”, la Russia e Israele. L’ha fatto ieri mattina, parlando in occasione dell’udienza per il quarantesimo anniversario del Trattato d’amicizia fra Argentina e Cile

Roma. Per la prima volta, il Papa mette nella stessa frase, definendoli “invasori”, la Russia e Israele. L’ha fatto ieri mattina, parlando in occasione dell’udienza per il quarantesimo anniversario del Trattato d’amicizia fra Argentina e Cile. Al termine del suo intervento, Francesco ha detto: “Non posso a questo proposito non fare riferimento ai numerosi conflitti armati in corso, che ancora non si riesce ad estinguere, malgrado costituiscano lacerazioni dolorosissime per i paesi in guerra e per l’intera famiglia umana. E qui voglio evidenziare l’ipocrisia di parlare di pace e giocare alla guerra. In alcuni paesi dove si parla molto di pace, gli investimenti che rendono di più sono sulle fabbriche di armi. Questa ipocrisia ci porta sempre a un fallimento. Il fallimento della fraternità, il fallimento della pace. Dio voglia che la Comunità internazionale faccia prevalere la forza del diritto attraverso il dialogo, perché il dialogo dev’essere l’anima della Comunità internazionale. Menziono semplicemente due fallimenti dell’umanità di oggi: Ucraina e Palestina, dove si soffre, dove la prepotenza dell’invasore prevale sul dialogo”.

 

Citando Ucraina e Palestina, è evidente chi sia l’invasore prepotente. Se l’affermazione, posta in calce a un discorso lungo e articolato, avrà fatto sorridere Volodymyr Zelensky e la Chiesa greco-cattolica che mai hanno metabolizzato l’invito a issare la bandiera bianca “quando vedi che sei sconfitto”, la questione si fa assai delicata rispetto ai rapporti con Israele e con le Comunità ebraiche, che da giorni – dopo la frase sul genocidio contenuta nel nuovo libro del Pontefice –  parlano di ritorno a quella che il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha definito “la saga ‘noi buoni, voi cattivi’”. Vi è anche la conferma che non trattavasi di parole male interpretate, di errori o di mancata contestualizzazione: il Papa voleva proprio dire quel che ha detto e scritto. La posizione della Santa Sede è questa, ha detto giorni fa il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin: criticare Israele, e il suo governo pro tempore, si può e non per questo si deve essere accusati di antisemitismo. Quel che sorprende è che una settimana dopo le polemiche seguite all’uso del termine “genocidio” Francesco torni sul tema ed equipari Israele alla Russia putiniana. Tempi nuovi, in Vaticano. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.