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L'editoriale dell'elefantino

Bene la porta nel carcere, ma al simbolismo manca l'incanto del difficile e del misterioso

Giuliano Ferrara

Una splendida idea quella di Papa Francesco a Rebibbia, ma mancava qualcosa. Niente sacro giubilare. Differenze tra il piviale del 2000 e l’aria dimessa di oggi, la custodia liturgica è svanita

Il papato mi è un po’ caduto dal cuore, forse ero solo un turista romano, un conformista della gerarchia angelica senza la stoffa dell’uomo di fede, ma è anche vero che non sono stato l’unico a percepire come uno strano, estremo, insostituibile gigantismo dello spirito e della carne cattolica, un grandissimo nel minuscolo, il lungo ciclo di san Giovanni Paolo e di Benedetto, e un’amica mi scrive a tutt’altro proposito, ma a proposito, citando un bel verso di Aragon: “Il n’y a pas d’amours hereux”. Il Giubileo però è parola d’oro e di velluto, vive di secoli viandanti e del ricordo del 2000, anno fatale e santo di millenaria speranza con la sua indimenticabile calda estate di confessioni pubbliche nelle piazze romane e di fantastiche, allegre adunate della gioventù.

Giubilare, inteso come verbo, è variante quasi mondana di “adorare”, è uno dei fervori cattolici più belli che parlano effettivamente a tutti. Ora si moltiplicano devozioni anche atee o miscredenti o semicredenti, e vedo che fioriscono tra i dotti tendenze alla conversione e al riconoscimento, quantomeno, del cristianesimo come fattore di comunione anche laica, civile, e di speranza, che è poi il titolo del presente anno pellegrino. Jon Fosse dedica al tema la sua intelligenza un po’ cupa di letterato e la sua vanità orante in uno scritto impegnativo. Cacciari, sceso dalla cattedra dello Steinhof, lamenta il fatto che del vangelo ci sia inaudita penuria e nessuno di noi cuori impietriti sia più assetato di quell’acqua. Da rallegrarsi, che si sia infine intuita la connessione di cristianesimo e libertà, ma qualcosa non va.

Un quarto di secolo dopo il piviale inginocchiato e la folla di Tor Vergata, al simbolismo del Giubileo universale manca qualcosa di importante. Certo è stata una splendida idea, paradossale nello stile migliore del cristianesimo, quella di aprire una porta santa in quel luogo di benedizione maledetta, a porte rigorosamente chiuse, che è il carcere. Eloquente anche quell’aria stanca e parrocchiale dei saluti papali a detenuti parenti e “operatori carcerari”, l’arrivo con il piccolo corteo delle vetturette, i sorrisi di circostanza e le strette di mano solidali. 

Non so se la modestia sia un carisma, una dote o un talento paragonabile per analogia al sacro dell’umiltà, ma è sicuro che Francesco abbonda di questa umana qualità. Eppure alla messa, all’omelia, alle processioni, alle parate delle porpore e delle mitrie, al classico scenario berniniano di San Pietro tra baldacchino e piazza, tra gerarchia e folla, mancava qualcosa. Non saprei dire che cosa, ma qualcosa mancava. Non c’era la distanza, la separazione, l’incanto del difficile e del misterioso, di una custodia anche dottrinale e liturgica dell’annuncio giubilare. Come tutto il resto, anche questo lo hanno voluto così, lo hanno espresso in un linguaggio terragno di buona e solidale volontà di pace. Comprensibile. Forse perfino inevitabile. Magari anche giusto. Ma il sacro è un dono complicato da confezionare e da offrire, implica un tono, una risonanza che tendono a scomparire quando lo si amministra come un rito di tutti i giorni, come una replica del quotidiano, come una attestazione di bene sociale e di buone intenzioni ideologiche.

Il Giubileo, anche e sopra tutto se intenda infondere speranza, vaste programme nel mondo com’è, dovrebbe forse sovvertire le abitudini del calendario ordinario, sospenderlo, sostituirlo con quella straordinaria e fatale invenzione papale, per tanti secoli protetta dai gesuiti, che è la pratica dell’indulgenza, cioè l’idea del riscatto dai peccati, del giudizio cristiano nelle mani autorevoli e distanti della successione apostolica, che è parte senza esaurirla della gente evangelica di buona volontà. A un Papa nella tempesta non si può che augurare ogni bene possibile, e gli si può anche chiedere sommessamente una più indefinita lontananza, una testimonianza dell’essere ecclesiastico e cristiano superiore al fare e al buon fare.
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.