Il Papa nomina arcivescovo di Washington il più antitrumpiano dei cardinali
Robert McElroy, la punta di diamante dell'ala liberal americana, è il nuovo "cappellano" della Casa Bianca. Poche settimane fa, Trump aveva designato ambasciatore presso la Santa Sede uno dei più forti critici di Francesco
Roma. Se c’è un vescovo americano che fin dal 2016 è in prima linea nel denunciare Donald Trump, la sua politica, la sua agenda e i suoi princìpi ispiratori, questi è il cardinale Robert Walter McElroy. Punta di diamante dell’ala liberal, schieratissimo nell’avversare i programmi della destra a trazione muskiana, avversario manifesto dei settori ancora maggioritari dell’episcopato conservatore statunitense. Ieri, Papa Francesco l’ha nominato arcivescovo di Washington, di fatto una sorta di cappellano della Casa Bianca. La diocesi della capitale federale non ha il prestigio storico di New York, Boston o Baltimora, sedi antiche e ricche di storia, ma politicamente è il boccone prelibato: significa avere accesso quotidiano ai membri del Congresso, frequentare salotti e brunch, poter guardare con i propri occhi e non con una webcam quel che avviene in Pennsylvania Avenue.
McElroy è uno dei capifila dell’opposizione episcopale alla linea dominante, ancora ancorata alle linee giovanpaoline e poi ratzingeriane. Aperto a tutto, dalla sinodalità più integrale all’inclusività radicale (lgbtqi+, divorziati risposati, esclusi, scartati): è il sommo interprete statunitense del todos, todos, todos bergogliano, declinato a seconda delle circostanze. Insieme a lui, altri due cardinali creati da Francesco, Blase Cupich di Chicago e Joseph William Tobin di Newark, che un certo peso hanno avuto nel convincere Francesco a scegliere questo settantenne vescovo come successore del cardinale Wilton Daniel Gregory, considerato in passato uno dei protagonisti della squadra progressista ma poco incisivo nel suo quinquennio nella tormentata diocesi che fu dei cardinali McCarrick e Wuerl. Segnali, questi, dell’ennesimo tentativo di indirizzare gli orientamenti di una Chiesa che stenta a sintonizzarsi sulle frequenze impostate ormai dodici anni fa a Santa Marta. Così, escludendo ogni pretendente conservatore ecco, nel 2022, la porpora a McElroy: cardinale lui sì, mentre il suo metropolita (José Horacio Gómez, di Los Angeles) no. Ora il trasferimento a Washington, che segue di poche settimane l’annuncio di Donald Trump di spedire a Roma come ambasciatore presso il Papa Brian Burch, presidente del gruppo Catholic Vote, non proprio un estimatore di Francesco e della sua agenda. Anzi, si può ben dire che rappresenti tutto ciò contro cui Bergoglio si è scagliato in questi anni, a cominciare dall’interpretazione di un cattolicesimo muscolare, di battaglia contro ogni apertura alle istanze gender e non conformi alla linea pro life. Una provocazione, ha detto qualcuno in Vaticano. E ora, da Roma si manda a Washington l’anti Trump per eccellenza, quel McElroy che nel 2017 chiamò a raccolta il popolo di Dio americano dicendo che “dobbiamo ostacolare coloro che cercano di mandare truppe nelle nostre strade per documentare chi è privo di documenti, per strappare madri e padri dalle loro famiglie. Dobbiamo ostacolare coloro che dipingono i rifugiati come nemici, anziché come nostri fratelli e sorelle in terribile bisogno. Dobbiamo ostacolare coloro che ci addestrano a vedere uomini, donne e bambini musulmani come fonti di paura, invece che come figli di Dio”. Da Santa Marta, dove ci si prepara ad accogliere Joe Biden in visita di congedo, non proprio una colomba di pace inviata nei saloni di Mar-a-Lago.
L'editoriale dell'elefantino
Con gli iraniani, contro Israele: Francesco oltre tutte le linee rosse
Il bisogno della fede