vaticano
Capire la nuova curia romana è come visitare l'isola di Lost
Nove anni di lavoro per ridisegnare la curia romana, che Francesco ha già smontato punto per punto. Dai cardinali segretari di laici alle suore sotto tutela. Un caos
Prefetti e pro prefetti, suore e cardinali. Una confusione in cui nessuno sa mettere ordine. Anziché aggiornare ai tempi correnti burocrazie e strutture ormai antiquate, snellendo la macchina e oliandone gli ingranaggi, si è entrati in un tunnel dove a ogni zona d’ombra ci sono sorprese
Roma. La riforma della curia romana era come l’acqua nel deserto invocata dai cardinali riuniti nelle congregazioni generali prima del Conclave del 2013. Sembrava, allora, che il destino della Chiesa passasse solo da quella riforma. Francesco, una volta eletto, si mise subito all’opera: nacque il Consiglio dei cardinali, il celebre C9 che poi – a causa di dimissioni, pensionamenti e pudiche assenze – ha visto variare la sua composizione. I nominati si riunivano a scadenze regolari in Vaticano, discutevano, esaminavano le proposte delle Chiese particolari, vergavano bozze di costituzioni e correggevano quel che non andava bene. La cosa si trascinò per anni; è un lavoro lungo, spiegavano oltretevere: si vogliono fare le cose per bene e il riordino appare necessario. Bene. Finalmente, dopo nove anni di bozze, appunti e aggiunte, ecco la Praedicate evangelium, la nuova Costituzione apostolica che tutto sistema e regola la vita e la natura della curia romana. Era il 2022, primavera. Già a una prima rapida occhiata, più di un esperto notava errori e stranezze, ma insomma... quisquilie: quel che contava era che il travagliatissimo parto finalmente aveva avuto luogo.
Da quel momento, però, è stato il caos. Anziché aggiornare ai tempi correnti burocrazie e strutture ormai antiquate, snellendo la macchina e oliandone gli ingranaggi, si è entrati in un tunnel dove a ogni zona d’ombra ci sono sorprese, neanche fosse una puntata di “Lost”. Si voleva colpire il vecchio Sant’Uffizio, luogo di condanne e durezza di cuore: benissimo, la prima delle congregazioni (pardon, dei dicasteri) diventa quella per l’Evangelizzazione. A capo c’è il Papa, sotto di lui due pro prefetti: uno è un cardinale e uno è un arcivescovo. E il dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale? Capo è un cardinale, segretario una suora e sottosegretario un altro cardinale. E il dicastero per i Laici, la famiglia e la vita?
Lì comanda un vegliardo cardinale, che al contempo è camerlengo di Santa Romana Chiesa, presidente della Commissione di materie riservate, presidente del Comitato per gli investimenti e presidente della Corte di cassazione dello Stato della Città del Vaticano. Poi ci sono i due ex vescovi ausiliari di Roma: uno è stato nominato assessore del Santo Padre per la vita consacrata (qualunque cosa voglia dire) e l’altro segretario aggiunto del dicastero per i Laici, la famiglia e la vita, sottoposto a un laico.
Poi c’è il dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica (in breve, i religiosi): qui lunedì il Papa ha nominato prefetto (o prefetta) la reverenda suora Simona Brambilla e contestualmente pro prefetto il cardinale Ángel Fernández Artime. Caso curioso quello di quest’ultimo: era rettor maggiore della congregazione salesiana quando il Pontefice ne annunciò la creazione cardinalizia (luglio 2023). In deroga alle norme, non è ordinato vescovo prima del concistoro. Poi, nella primavera del 2024 si cambia di nuovo e Fernández Artime vescovo lo diventa. E con i Salesiani come la mettiamo? Anche qui, deroga: il Papa gli dice di continuare a ricoprire la carica di rettore fino all’agosto del 2024. Il cardinale obbedisce. Finito il mandato (in deroga), si dava per imminente una sua collocazione in qualche ruolo di curia e non è un mistero che in Vaticano si considerasse certo il posto di prefetto per i religiosi. Invece, no. Fernández Artime al dicastero ci va, ma come pro prefetto insieme a suor Brambilla. Un bel problema, perché non è tanto una questione di umiliazione maschile, ma di diritto canonico. Il canone 129, paragrafo primo, infatti, è incredibilmente chiaro: “Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto”. Ora, poiché l’ordine sacro l’ha ricevuto Fernández Artime, chi comanda? Lui, verrebbe da dire stando ai sacri canoni. Ma il posto di prefetto è stato dato alla suora, che per fortuna non ha “la faccia d’aceto” (cit.). E infatti si sprecano le lodi per la prima donna che comanda in Vaticano, rendendo un brutto servizio anche alla povera Brambilla, elogiata perché donna e non per le sue competenze. Ma quando si tratterà di comandare sugli abati, per fare un esempio, che cosa accadrà? Certo, c’è sempre il cardinale a vegliare ma forse la tutela preventiva non è un grande avvio.
Di sicuro, la sessione conclusiva del Sinodo sulla sinodalità ha inciso nell’indirizzare certe scelte: una delle poche cose cristalline del documento finale è la richiesta di dare più peso alle donne nei posti di governo: “Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo”. Era il paragrafo che ottenne più voti contrari, ma comunque passò il quorum necessario. Ora, Francesco mette in pratica quella determinazione. A modo suo, sorprendente e caotico, nonché contraddittorio (dieci anni fa, il Papa disse che nominare una donna capodicastero era solo “funzionalismo”). Al punto che lunedì pomeriggio, in Segreteria di stato, c’era chi andava a recuperare dagli archivi la vecchia costituzione curiale per spiegare cosa fosse un pro prefetto. Sperando che la nomina della reverenda Brambilla non si riduca a contentino per quel femminismo d’antan che trova realizzazione solo mettendo qualche donna a comandare sui maschi.
L'editoriale dell'elefantino