il colloquio

"Donne ai vertici della Chiesa sì, ma non così". Parla il teologo Grillo

Il caos dopo la nomina di suor Simona Brambilla a capo di un dicastero curiale. Vale la legge o il mandato del Papa? Dibattito

Matteo Matzuzzi

"Le donne devono essere riconosciute senza nuovi o vecchi paternalismi. Per assumerle occorre anche una profezia ecclesiale a livello giuridico e istituzionale, che sappia ripensare il potere nella Chiesa come la unità di regalità, profezia e sacerdozio. Questa unità, così decisiva, mi sembra del tutto assente dai dibattiti intorno al nuovo prefetto Brambilla", dice il professor Grillo

Roma. Il problema è il Codice di diritto canonico, che all’articolo 129 prescrive che la potestà di governo è legata all’ordine. I laici (uomini e donne) possono collaborare, ma non più di questo. E’ il commento che si sente di più, in Vaticano, dopo la nomina di suor Simona Brambilla a prefetto (lei però il primo documento ufficiale l’ha firmato come “prefetta”) del dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Un problema serio, tant’è che contestualmente alla promozione di Brambilla il Papa ha nominato un pro prefetto (il cardinale Fernández Artime) con lo scopo di garantire in qualche modo le norme e le forme. Andrea Grillo, ordinario di Teologia sacramentaria al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e docente all’Istituto di Liturgia pastorale Santa Giustina a Padova e non certo ascrivibile alla categoria dei conservatori né alla folta schiera dei nemici del pontificato (presunti o tali), ha più di un dubbio: “Credo – dice al Foglio – che si debba distinguere tra due livelli della questione: il primo riguarda in generale il riconoscimento dell’autorità delle donne, il secondo la peculiarità istituzionale della curia romana. Sul primo piano non c’è dubbio che un ruolo di maggior rilievo acquisito da battezzate di sesso femminile sia comunque un fatto rilevante. Tuttavia questo fatto indubbio non viene accompagnato da una riflessione teologica alla altezza. Si fanno risolvere le questioni ai burocrati. Le soluzioni così risultano inevitabilmente senza respiro ecclesiale. D’altra parte è facile risolvere la questione spostando il problema sulla missio canonica, che pensa l’autorità solo come ‘governo’ e può delegarla senza limiti. Qui però si cade proprio in quella funzionalizzazione che a parole si voleva evitare. Tutto diventa possibile se si separa il governo dalla Parola e dal Sacramento. Cosa che è proprio quello che il Vaticano II ci ha chiesto di superare”. 

 

Ci sono però diversi sostenitori della liceità senza forzature della nomina, anche all’interno delle università pontificie. Punta di diamante di tale corrente di pensiero è il cardinale Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Gregoriana, secondo cui la potestà deriverebbe esclusivamente dal mandato conferito dal Pontefice. Non c’è però il rischio di ritenere quindi che il Papa può tutto e pazienza per la sinodalità e l’auspicio – assai condiviso nelle Chiese particolari – di rovesciare la piramide gerarchica? “Certo proprio questo ragionamento mi pare poco appropriato. Il Concilio Vaticano II ci chiede di pensare l’episcopato (anche il Papa come vescovo di Roma) non soltanto come il titolare di una potestas iurisdictionis. Se restiamo in questa ottica, l’ampliamento di soggetti competenti a comandare discende da una restrizione dell’idea di autorità, in senso strettamente anti sinodale. Così nessuno è dotato di potere proprio, ma lo trae soltanto dal Papa. Rispetto alla immagine che sta in San Paolo fuori le Mura, sarebbe come immaginare un piccolo crocifisso ai piedi di un enorme Papa! Questa via può soddisfare i burocrati, non i fedeli cattolici, preoccupati davvero di riconoscere i soggetti dotati di ‘propria autorità’, non solo di autorità derivata”. 

 

Una suora prefetto coadiuvata (o tutelata?) da un pro prefetto cardinale: non si tratta di un inutile espediente che indica una rinnovata burocratizzazione della curia che, in teoria, doveva essere semplificata dalla grande riforma cui si è lavorato per nove anni? A giudizio di Grillo, “la soluzione rivela, evidentemente, una fatica teorica non piccola. In realtà le cose non si possono risolvere solo con una Costituzione apostolica. Se il Codice dice che il potere di governo discende dall’ordinazione (e lo dice solo dal 1983, come applicazione del Vaticano II), o si riforma il Codice, e allora si rende lineare la condizione anche di un prefetto senza ordinazione, o si apre alla ordinazione delle donne, per riconoscere appieno la loro autorità”. 
Ma se la potestà deriva solo dal mandato papale, perché ciò non è stato chiarito nella riforma che ha portato a Praedicate evangelium? Così sembra che la linea ispiratrice sia il classico “facciamo, ma non diciamolo”… “Questo è quello che prima definivo ‘soluzione burocratica’, che discende esattamente da quella ‘dogana pastorale’ che Papa Francesco ha definito una volta ‘ottavo sacramento’. Per non cadere in questa trappola, occorre affrontare diversamente la questione della autorità femminile. Il fatto che anche al Sinodo si sia parlato di ‘partecipazione al governo’ escludendo ogni discussione sulla ordinazione (persino diaconale) è il segno di un grave difetto a livello teologico-sistematico. Senza affrontare le questioni a quel livello non si assume nessuna sfida vera: né la ordinazione delle donne, né il riconoscimento di famiglie di fatto, né il discernimento sulle pratiche sacramentali illecite o invalide possono avvenire sulla base della dottrina tridentina sull’ordine, sul matrimonio o sulla validità dei sacramenti”. 

 

Ci si chiede allora se è così che viene premiato il “genio” femminile nella Chiesa, affidando un dicastero a una religiosa ma sotto la tutela di un cardinale necessariamente maschio. Non rischia di essere umiliante per entrambi, al di là delle specifiche competenze e riconosciute capacità? “Io non parlerei di genio femminile, ma della autorità pubblica ed ecclesiale di battezzate di sesso femminile. Questo è il punto al quale non si può sfuggire né con idealizzazioni astratte, né con normative contorte e ‘stati di eccezione’. Molti sono i pasticci che nascono da buone intenzioni: negli ultimi anni ne abbiamo visti numerosi. Pensare di onorare nuove realtà con vecchie istituzioni è spesso un’illusione, che peggiora le questioni. Nessuno può dubitare che ci sia la volontà di riconoscere la autorità delle donne. Per farlo occorre uscire da molti pregiudizi, anche di carattere istituzionale. Quando Papa Francesco ha voluto, a inizio pontificato, una ‘stanza tutta per sé’ a Santa Marta, ha fatto un gesto decisivo, che mi ha ricordato il famoso libro di Virginia Woolf, ‘Una stanza tutta per sé’. Una delle condizioni per la attribuzione di autorità alle donne è che possano abitare stanze solo proprie, senza ‘appartenere’ a un qualche uomo (ordinato, anziano, cardinale o santo). Le donne devono essere riconosciute senza nuovi o vecchi paternalismi. Questo non è facile, ma esige soluzioni lineari e non pasticciate. Per assumerle occorre anche una profezia ecclesiale a livello giuridico e istituzionale, che sappia ripensare il potere nella Chiesa come la unità di regalità, profezia e sacerdozio. Questa unità, così decisiva, mi sembra del tutto assente dai dibattiti intorno al nuovo prefetto Brambilla”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.