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Il rabbino Di Segni sveglia il Papa: “Ha rovinato i rapporti con gli ebrei”
Il rabbino capo di Roma: "La condanna della guerra quando è monolaterale e monotematica è sospetta. Un Pontefice non può dividere il mondo in figli e figliastri. E dunque deve denunciare le sofferenze di tutti"
Al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ieri sono bastati una quindicina di minuti di intervento pubblico per dare l’idea del clima “inquinato” che minaccia il dialogo tra mondo ebraico e Chiesa cattolica. Una prolusione senza sconti in cui sono state usate parole nettissime nei confronti di Papa Francesco e la posizione assunta sulla guerra in medio oriente. Ospitato dalla Pontificia Università lateranense alla vigilia della XXXVI giornata del dialogo tra Chiesa cattolica i ed ebraismo (si celebra quest’oggi) Di Segni ha fatto prima gli auguri di pronta guarigione al Pontefice dopo la caduta a Santa Marta. Ma poi ha reso esplicito tutto il malcontento della comunità ebraica verso il vescovo di Roma, che si è andato accrescendo nel corso delle settimane. Ha ricordato l’episodio del bambin Gesù poggiato su una kefiah nel presepe del Vaticano. “Ha generato critiche dal punto di vista politico, perché si trattava di una scelta di campo pro Pal. Ma anche di natura religiosa, perché spogliava il cristianesimo delle sue origini ebraiche”, ha esordito Di Segni. Che dopo una breve introduzione sui simboli ebraici usati nel Giubileo, ha virato sull’attualità: “Questo è un momento nel quale sembra che la chiesa, o una parte della chiesa, stia cedendo di nuovo alla tentazione di tagliare i ponti con l’ebraismo. La guerra che si è scatenata dal 7 ottobre ha avuto tra le sue vittime collaterali il dialogo ebraico- cristiano”, ha argomentato il rabbino capo di Roma con un certo sconforto.
“Nel mondo si è sollevata un’ostilità anti israeliana, a volte limitata alla critica del governo e del suo premier, ma poi allargata al popolo ebraico che si era stretto solidale con le sorti di Israele minacciato. Le accuse contro Israele hanno fatto leva su sentimenti antiebraici mai sopiti. Il vocabolario è stato funzionale alla demonizzazione e al ribaltamento del senso di colpa per il genocidio, con parole proprie di una tradizione millenaria: la crudeltà degli ebrei, la volontà di vendetta, l’attacco ai bambini. Questo cosa c’entra con la Chiesa cattolica e con il dialogo? La tragedia in corso non coinvolge solo Gaza ma l’intera regione e comporta un rischio molto alto per Israele. Tutto ciò non è stato compreso ma è stato sottovalutato. Questi vocaboli invece di essere bilanciati con una visione oggettiva sono stati rilanciati e ripresi da una parte della chiesa, dalla base al vertice. E così hanno fatto da cassa di risonanza e avallo morale alla condanna di Israele”.
Secondo Di Segni, l’iperattivismo del Papa su Gaza mal si concilia a un suo disinteresse per altre parti di mondo. “In Sudan meridionale ci sono stati 400 mila morti. In Yemen 400 mila morti. In Siria almeno 400 mila. Ci sono 13 milioni di rifugiati e 24 milioni di profughi all’interno dei paesi. Il numero di cristiani in medio oriente cala vertiginosamente. Questa lista incompleta degli orrori in corso, se si considerano le posizioni dei vertici della chiesa cattolica, coincide con le sue omissioni, distrazioni, basso profilo e citazioni generiche che stridono con attenzione quasi quotidiana alle parole di riprovazione e condanna nei confronti di Israele. La condanna della guerra quando è monolaterale e monotematica è sospetta”. Riprendendo una citazione, Di Segni ha aggiunto: “Un Papa non può dividere il mondo in figli e figliastri. E dunque deve denunciare le sofferenze di tutti. Sono pienamente d’accordo. Solo che è esattamente quello che il Papa non fa. Sappiamo che ogni giorno è al telefono con il parroco di Gaza. Quante telefonate ha fatto in Sudan, Siria, Etiopia, Congo, Yemen? Quante volte ne ha parlato? Non lo sappiamo. Però sappiamo che con l’appoggio mediatico della Chiesa Israele è tornata sul banco degli imputati”.
Un intervento di una tale schiettezza che prendendo la parola dopo di lui Monsignor Marco Gnavi, responsabile dell’Ufficio per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti della diocesi di Roma ha tentato di stigmatizzarne le parole. “Comprendo tutto il dolore che è quello della Comunità ebraica, che parla con molte voci. Sono allergico a ogni forma di antisemitismo ma non credo che possiamo trarre conclusioni così estensive. Quarantamila vittime richiedono uno scatto di reni. Non potete chiederci di soffrire con voi e non con gli altri”. Tensione che s’è avvertita anche nella richiesta di non far intervenire le prime voci che si levavano dal pubblico. Per dirla ancora col rabbino di Segni, “il dialogo è rovinato. Ma non dobbiamo perdere la speranza”.