False dottrine o innovazione
Il parroco apostata di Bissingen e il ritorno delle sempiterne eresie
“Gesù era un brav’uomo, ma non il figlio di Dio”. L’apostasia razionalmente argomentata di un sacerdote in Baviera e la sua confutazione
Lo scorso ottobre un parroco di Bissingen, in Baviera, ha fatto parlare di sé. Costui ha smesso di condividere l’insegnamento della Chiesa: non crede più che Gesù sia Figlio di Dio e vero Dio, né che la sua morte sia stata voluta da Dio per la salvezza degli uomini. Gesù, ha detto, è stato un brav’uomo, il cui messaggio ha ispirato altri a fare del bene e ha infuso umanità nella cultura occidentale. Ma “Figlio di Dio”? Il parroco continua a credere in Dio come creatore del mondo e potenza onnipresente, in un Dio “assoluto, infallibile e santo”. Ma se solo Dio è santo, si è chiesto, com’è possibile che ci siano anche santi, tra i quali persone “moralmente dubbie”? Ciò gli è sembrato tanto contraddittorio quanto la dottrina dell’Eucarestia. “Se Gesù – che si dice sia Dio – si rendesse davvero presente nel pane consacrato attraverso il ministero dei suoi sacerdoti, come la Chiesa insegna, allora Dio sarebbe consegnato alla manipolazione da parte degli uomini”. Di conseguenza, il parroco ha negato anche le benedizioni, le preghiere e le intercessioni. Dopo undici anni di servizio nella diocesi di Augsburg, Ivan Kuterovac ha abbandonato il ministero ed è uscito dalla Chiesa annunciando di voler svolgere d’ora in poi la professione di maestro di cerimonie laico.
Dobbiamo essere grati a quest’uomo, perché ha esposto le sue motivazioni con una chiarezza non comune in questi casi. Per una volta non si tratta del celibato, ma dei fondamenti della fede. Dobbiamo essergli grati, soprattutto, perché attraverso la sua pubblica abiura e le sue negazioni il dogma cristologico niceno splende in modo ancora più luminoso. Le eresie e le false dottrine in materia di fede hanno l’abitudine di presentarsi ogni volta come inaudite e innovative. Ma quando uno vi pone attenzione, infallibilmente si accorge di averle già lette o sentite da qualche altra parte.
L’onnipresente imitazione del “pensiero postmetafisico” à la Habermas, l’accusa secondo cui le verità di fede fondamentali sarebbero “storicamente condizionate” e altri luoghi comuni della critica rivolta alla Chiesa e alla sua tradizione nelle facoltà teologiche sarebbero solo motivo di reiterati sbadigli, se non fossero parte di un processo pluridecennale di demolizione. La richiesta rivolta a Roma e ai vescovi da parte di quei cattolici che, sulla scorta di san Paolo, ricordano che si deve proibire a determinate persone di “diffondere false dottrine” (1 Tim 1, 3), è caduta nel vuoto. Ci sono diocesi in cui le norme procedurali approvate dalla Conferenza episcopale tedesca nel 1981 per contestare chi lo faccia e revocare il ministero dell’insegnamento non sono mai entrate in vigore.
In realtà, è facile ricondurre quasi tutte le eresie moderne alle antiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di idee già confutate nella Sacra Scrittura o dai quattro primi concili ecumenici. L’idea ancora oggi diffusa che il pane e il vino nell’eucarestia siano da intendersi come meri simboli, ad esempio, si trova già contraddetta in Mc 14, 22-24 e Gv 6, 51-53. Chi voglia negare la trinità o il battesimo nel cristianesimo delle origini può andare a leggersi Mt 28, 18-20 per avere migliori lumi sulla questione. Fin dall’inizio e in continue occasioni la Chiesa ha difeso il depositum fidei in modo sostanziale, ma senza ridurlo a una sostanza. Il grande esegeta Erik Peterson ha definito il dogma, con riferimento a Gv 6, 22-59, quale reale prosecuzione e sviluppo del vangelo di Cristo e del logos. La cifra di ogni dogma è che esso non è qualcosa di deducibile da un ragionamento puramente terreno.
La fede, come Dio stesso, è un mistero, un segreto impenetrabile. Come possiamo continuamente constatare, ci sono uomini che credono e altri che, nonostante la loro onestà intellettuale e la loro buona volontà, non riescono a credere. La triste circostanza che proprio un prete (e per di più uno proveniente dalla Croazia, dove il cattolicesimo almeno un tempo si assimilava con il latte materno) abbia rinnegato la fede prova il fatto che la fede è essenzialmente un dono. E a volte i doni vengono maltrattati, nascosti, svenduti, o perduti. Tragico paradosso: il centurione che ha riconosciuto che “costui veramente era Figlio di Dio” (Mc 15, 39) lì sotto la croce è diventato cristiano, mentre il prete è tornato pagano.
Comune alle eresie è anche il voler sempre apparire plausibili. Nel quarto secolo fu Ario, originario della Libia, a sostenere opinioni dottrinali facili da accettare intorno a Gesù Cristo. Come al giorno d’oggi fanno anche schiere di professori di teologia e di predicatori quando riducono Gesù al suo insegnamento morale e alla sua opera terrena, al suo amore per il prossimo e alla sua solidarietà coi peccatori, i poveri, le prostitute e gli stranieri, Ario affermava che Gesù era solo un uomo storico, una creatura di Dio e, al più, Dio solo in senso metaforico. Tuttavia, ciò che appare immediatamente chiaro e semplice da capire non deve anche per forza essere vero. La pretesa del Cristo di essere la via, la verità e la vita, l’unico mediatore (Gv 14, 6) capace di esaudire le preghiere e le intercessioni (Gv 14, 14) e l’unico ad avere il potere di perdonare i peccati (Mc 2, 5-10) è difficilmente conciliabile con queste rappresentazioni riduttive. E’ possibile sostenere che Gesù sia stato un megalomane, oppure solo un uomo straordinario; ma non lo si può fare nella Chiesa, all’interno della comunità dei credenti. Chi si ostini a farlo, “sia anatema”, che vuol dire “sia escluso”: la Chiesa deve potersi difendere da coloro che non condividono le sue fondamentali convinzioni.
Questo è ciò che il Concilio di Nicea ha fatto quando ha condannato l’arianesimo. Ai perduranti effetti di questo concilio va ascritto che persino il prete apostata di Bissingen, per esprimere la sua incredulità, ha dovuto usare le formule nicene, anche solo per negarle. Purtroppo, questo concilio fece a meno di far seguire all’enunciazione del dogma cristologico chiarimenti più precisi intorno al concetto di “omousia”, ovvero la consustanzialità tra il Figlio e il Padre. Sedici secoli più tardi, neanche il Concilio Vaticano II offrì indicazioni per una interpretazione autentica delle sue dottrine. Così, a entrambi i concili sono seguite discussioni, diatribe e divisioni. Nella dottrina della Chiesa, il progresso non consiste nel buttar via tradizioni ritenute antiquate, bensì nell’affinarle continuamente e nell’applicarle ai nuovi problemi. I dogmi non sono mai superati: al più può diventarlo la loro incompiuta articolazione. Actus autem credentis non terminatur ad enuntiabilia, sed ad rem – l’atto del credere non si limita a ciò che è esprimibile, ma ha per oggetto la cosa stessa, dice Tommaso d’Aquino (Summa Theologica II-II 1, 2 ad 2).
Il non essere plausibile o conseguente è, del resto, la classica critica dei razionalisti, alla quale in ultimo ha fatto ricorso anche l’ex parroco di Bissingen. Come se la santità di Dio fosse la stessa dei santi! Questi solo da quello vengono santificati. Non è la loro intercessione in sé a dare la salvezza, la quale promana da Dio solo. Per quanto siano “compagni della nostra umanità”, rispetto a noi persone comuni i santi sono “più perfettamente uniformati all’immagine di Cristo” (Lumen Gentium, par. 50). Se qualcosa, nel loro cammino terreno, è stato “moralmente dubbio”, ciò è stato a motivo del peccato. Neanche la dottrina dell’eucaristia è “inconseguente”, semmai lo sono i suoi critici. L’ex parroco di Bissingen, come a mia stima il 90 per cento dei laici e dei consacrati oggi, la confonde con la dottrina luterana secondo cui Gesù sarebbe realmente presente solo “nel” pane consacrato. In realtà, questa presenza reale avviene nella forma più plausibile che si può pensare: così come ha fatto quando sapeva che uno dei suoi commensali lo avrebbe tradito (Mc 14 ,18), nell’offerta eucaristica Gesù si consegna alle mani – cioè proprio alla “manipolazione” – da parte di un sacerdote peccatore eppure al tempo stesso agente come persona di Cristo, e questo in conseguenza della originaria decisione del Signore di fondare la sua Chiesa su di una roccia vacillante (Mt 16, 18).
Chesterton ha consigliato di esaminare un ago di pino. Esso deve il suo nome al fatto che sembra appuntito come un ago. Tuttavia, se lo si osserva più da vicino, rivela di non esserlo affatto. Dovunque nel mondo si incontrano cose sconosciute, di cui è difficile prendere le misure. Il razionalista non è in grado di comprendere l’anomalia, dal momento che pensa in termini di regolarità matematiche, naturali e sociali. Come ha detto ancora Chesterton, il cristiano sa che un uomo ha due mani, ma contesterebbe la deduzione che allora ha anche due cuori. I nuovi ariani si rivelano essere una riedizione degli antichi. La fede cristiana, invece, coglie nel segno proprio quando erra da un punto di vista puramente logico, ma è in accordo con una ragione che conosce i propri limiti.
Wolfgang Hariolf Spindler OP
Il testo, tradotto da Giuseppe Perconte Licatese, è apparso sulla rivista tedesca Tagespost