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Il Papa dichiara guerra a Trump
Francesco scrive una lunga lettera ai vescovi americani e li esorta a resistere ai provvedimenti anti migranti adottati dall'Amministrazione repubblicana
Donald Trump governa da venti giorni e i rapporti con la Santa Sede sono già paragonabili a quelli fra Iran e Israele. Se era lecito ritenere che almeno per un po’ a Roma avrebbero atteso prima di rompere con Washington, la lettera che ieri Bergoglio ha spedito ai vescovi americani sgombera il tavolo dai dubbi
Roma. Donald Trump governa da venti giorni e i rapporti con la Santa Sede sono già paragonabili a quelli fra Iran e Israele. Se era lecito ritenere che almeno per un po’ a Roma avrebbero atteso prima di rompere con Washington, la lettera che ieri il Papa ha spedito ai vescovi americani sgombera il tavolo dai dubbi.“Ho seguìto da vicino la grave crisi che sta avvenendo negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa (così nella versione ufficiale in italiano, benché sia stato spiegato che “deportation” in realtà andrebbe tradotto come “espulsione” o “rimpatrio”, ndr). La coscienza rettamente formata non può non esprimere un giudizio critico e manifestare il proprio dissenso di fronte a qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifichi lo status irregolare di alcuni migranti con la criminalità”. Più chiaro di così, Francesco non avrebbe potuto essere. “Allo stesso tempo – aggiunge il Pontefice – bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere sicure le comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel paese o prima di arrivarvi. Detto ciò, l’atto di espellere persone che in molti casi hanno lasciato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado ambientale, danneggia la dignità di molti uomini e donne, di intere famiglie, e li pone in una condizione di particolare vulnerabilità e indifesa”. Non è, questa, “una questione secondaria: un autentico stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che tutte le persone meritano, specialmente i più poveri e i più emarginati. Il vero bene comune si promuove quando la società e il governo, con creatività e nel rigoroso rispetto dei diritti di tutti – come ho affermato in numerose occasioni – accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi e vulnerabili. Questo non impedisce lo sviluppo di una politica che regoli la migrazione in modo ordinato e legale. Tuttavia, tale sviluppo non può avvenire attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che viene costruito sulla base della forza, e non sulla verità dell’uguale dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”.
Ma la rampogna papale alla Casa Bianca non finisce qui: “I cristiani sanno molto bene che solo affermando la dignità infinita di tutti la nostra stessa identità come persone e come comunità raggiunge la sua maturità. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che si estendono poco a poco ad altre persone e gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con alcuni sentimenti filantropici! La persona umana è un soggetto con dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, può gradualmente maturare nella sua identità e vocazione”.
Ce n’è anche per il vicepresidente J.D. Vance, il cattolico convertito che si è subito messo contro una buona fetta di episcopato. Lo scorso 30 gennaio, in risposta a quanti contestavano la politica migratoria dell’Amministrazione, a partire dai rimpatri forzati, scriveva su X: “Basta cercare su Google ordo amoris”. Il riferimento era a sant’Agostino, che nel De civitate Dei sottolinea che l’amore scaturisce sempre e comunque nella e dalla relazione in cui è collocato. Insomma, amare tutti ma ciascuno a modo suo, secondo un ordine preciso. Tradotto nell’ottica dell’America first, significa prima gli americani e poi tutto il resto. Il Papa bacchetta anche qui: “Il vero ordo amoris che deve essere promosso è quello che scopriamo meditando costantemente sulla parabola del Buon Samaritano, ossia meditando sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, senza eccezione”. “Preoccuparsi dell’identità personale, comunitaria o nazionale, al di fuori di queste considerazioni, introduce facilmente un criterio ideologico che distorce la vita sociale e impone la volontà del più forte come criterio di verità”. Da qui l’esortazione a tutti i fedeli cattolici americani “a non cedere a narrazioni che discriminano e causano sofferenza inutile ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo tutti chiamati a vivere nella solidarietà e nella fraternità, a costruire ponti che ci avvicinino sempre più, a evitare muri di ignominia e a imparare a dare la nostra vita come Gesù Cristo ha dato la sua per la salvezza di tutti”.
E’ uno scontro aperto e senza precedenti. I settori conservatori della variegata e combattiva galassia cattolica americana hanno già contestato i contenuti della missiva papale, ricordando che mai, nei quattro anni bideniani, Francesco si era scomodato per denunciare le politiche pro gender dell’Amministrazione liberal. Stavolta, neanche un mese dopo l’insediamento di Trump, Francesco parte all’assalto lancia in resta. E’ arduo pensare che Roma e Washington, ora, potranno avvicinarsi, mettendo da parte gli screzi per concentrarsi sui – pochi – dossier dove i punti di vista non sono così sideralmente lontani. Dopotutto, le premesse erano già infauste: dopo la nomina di Brian Burch come ambasciatore presso la Santa Sede (negli anni ha contestato duramente l’agenda bergogliana), a Santa Marta s’era deciso di nominare arcivescovo di Washington, e quindi cappellano della Casa Bianca, il più anti trumpiano dei cardinali, Robert Walter McElroy. E ieri, a corredo della lettera, il Papa ha nominato arcivescovo dell’importante sede di Detroit, in sostituzione del conservatore Allen Henry Vigneron, mons. Edward Joseph Weisenburger, uno dei presuli più attenti alle questioni migratoria e climatica.
Altro che pace, fra il Vaticano e Pennsylvania Avenue s’ode solo il rullo dei tamburi che anticipa le fanterie pronte all’assalto.