tra il vaticano e gli stati uniti

Per il Papa, questo non è il tempo del dialogo e della pazienza con i bulli Maga

Repulisti di vescovi conservatori e sfida aperta a Trump. La strategia del Vaticano che spacca l'America

Matteo Matzuzzi

Non solo l'episcopato, anche il mondo intellettuale si divide. Durissimo attacco di First Things a Francesco: è un "moralista" che sogna "la fine dell'occidente". Di parere opposto la stampa cattolica liberal

Roma. Il Papa esorta i vescovi americani a resistere ai piani America first di Donald Trump, mette in riga il vicepresidente J. D. Vance impartendogli lezioni di teologia medievale, promette preghiere e vicinanza nella loro impresa contro il dominus della Casa Bianca. Ma a quali vescovi si rivolge, Francesco? Il giorno dopo la lettera spedita da Santa Marta in cui si denunciavano i piani di politica migratoria dell’Amministrazione repubblicana  – evento epocale messo un po’ in sordina dall’apparizione sanremese a sorpresa coronata da quell’“Imagine” in cui, tra le altre cose, si sogna un mondo senza religioni –, è intervenuto pubblicamente il presidente della Conferenza episcopale statunitense, mons. Timothy Broglio. L’ha fatto con una breve Nota in cui, al di là della rituale cortesia, si mantiene su una linea assai prudente, evitando con encomiabile destrezza di entrare a gamba tesa nei temi sollevati dal Pontefice e mantenendosi su un più generico piano che rimanda a citazioni evangeliche: “Come successore di san Pietro, Lei chiama non solo ogni cattolico, ma ogni cristiano a ciò che ci unisce nella fede – offrendo la speranza di Gesù Cristo a ogni persona, cittadino e immigrato allo stesso modo. In questi tempi di paura e confusione, dobbiamo essere pronti a rispondere alla domanda del nostro Salvatore: ‘Cosa avete fatto per il più piccolo di questi?’”. Quindi, mons. Broglio assicura preghiere “affinché le famiglie che soffrono a causa del ritiro improvviso degli aiuti possano trovare la forza di perseverare”. Infine, chiosa il presule, “preghiamo affinché il governo degli Stati Uniti mantenga i suoi impegni precedenti per aiutare coloro che sono in disperato bisogno. Ci rivolgiamo anche al Popolo di Dio, chiedendo la loro misericordia e generosità nel sostenere la raccolta nazionale dei Catholic Relief Services durante questa Quaresima, così come il lavoro ‘sul campo’ delle organizzazioni locali delle Catholic Charities, affinché il vuoto possa essere colmato dagli sforzi di tutti”. Da qui, l’auspicio per “costruire ponti di riconciliazione, inclusione e fraternità”, continuando a lottare “per i bisognosi” e desiderando di “migliorare la situazione in quei luoghi da cui gli immigrati giungono sulle nostre coste”.

 

Il fatto è che l’episcopato americano è profondamente diviso tra una maggioranza che di certo non resta insonne sapendo che Trump è alla Casa Bianca (anzi, ne è ben felice) e una minoranza che invece è pronta a sguainare le sciabole per combattere, metro per metro e costi quel che costi, i programmi federali del governo repubblicano. Gruppo, quest’ultimo, guidato dall’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Cupich, che in più d’una circostanza ha fatto capire di avere un certo peso nelle nomine episcopali in terra americana e un notevole ascendente su Santa Marta. Proprio Cupich ha subito plaudito, e con enfasi ben maggiore rispetto a quella di Broglio, alla lettera papale, sostenendo che “la difesa della dignità dei migranti è l’urgenza preminente nell’attuale storia degli Stati Uniti”. Questa minoranza, però, ha l’esplicito appoggio del Papa, come la Lettera dell’11 febbraio ha dimostrato.
 
E’ in questa situazione complicata che si deve leggere la moderata e calibrata reazione di mons. Broglio, strattonato non solo dall’ala progressista che gli chiede di pressare l’Amministrazione in carica, ma anche da vescovi che retoricamente si chiedono perché Francesco in quattro anni non abbia biasimato mai le espulsioni di Biden né messo all’indice i provvedimenti dem a sostegno dell’ideologia gender, mentre ora – a venti giorni dall’insediamento – abbia deciso che con Trump non si può andare d’accordo. Vescovi che non si fanno troppi problemi a parlare di ingerenze di Roma negli affari di uno stato sovrano, come mai prima d’ora era accaduto. Francesco sta tentando di intervenire profondamente nel tessuto delle gerarchie episcopali americane, cambiando più vescovi possibili non appena questi raggiungono l’età minima per il ritiro. Solo negli ultimi due giorni ha accettato le dimissioni di quattro presuli, sostituendoli con profili marcatamente liberal: caso-scuola è la nomina del nuovo arcivescovo di Detroit, dove al conservatore Vigneron subentrerà mons. Weisenburger, attivista climatico e tra i più strenui oppositori alla politica migratoria trumpiana. En passant, va segnalato che lo scorso 6 febbraio ha compiuto 75 anni il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, étoile del “conservatorismo muscolare” statunitense che il 20 gennaio era a Capitol Hill per benedire l’inaugurazione del mandato di Trump. 

 

La battaglia si sposta anche su un piano culturale, con il mondo intellettuale conservatore critico nei riguardi della missiva papale. “La lettura di Papa Francesco nel corso degli anni mi ha portato a credere che egli nutra un sogno apocalittico per l’occidente, in cui la migrazione di massa e il pericolo ecologico rovesciano le fondamenta della fiducia occidentale e dell’egemonia globale”, ha scritto R. R. Reno nel suo editoriale per First Things, la principale pubblicazione conservatrice cattolica. “A questo riguardo – ha aggiunto Reno – il suo pensiero si allinea con gli ideologi post coloniali e quelli delle manifestazioni pro Hamas. L’occidente è una tana di iniquità. Il suo capitalismo fomenta l’avidità. Le sue imprese hanno violentato la madre natura e inquinato la biosfera. La sua vanità, soprattutto l’orgoglio americano, ha portato guerra e rovina a terre straniere. I miseri della terra sono pienamente nel loro diritto di insorgere, migrare e distruggere il Behemoth. Vedo Papa Francesco come un moralista dalla testa fra le nuvole che non riesce a identificare i doveri di giustizia che richiedono di discriminare tra chi infrange le leggi e chi le rispetta, tra chi ci è vicino e legato a noi da una fitta rete di responsabilità e chi ha pretese sulle nostre risorse e affetti che sono lontane. A quanto pare, è un ‘accelerazionista’, qualcuno che accoglie la catastrofe piuttosto che appellarsi alla dottrina sociale cattolica per fare giudizi sfumati che potrebbero aiutarci a umanizzare, nel miglior modo possibile, le politiche e le azioni necessarie per prevenire le turbolenze sociali che accompagnano il rapido cambiamento demografico e il disordine che esso porterà. Il gesuita argentino sembra godere del collasso. Esso fornirà un’opportunità per rompere la presa di ferro di homo oeconomicus e costruire un mondo nuovo, una ‘fraternità aperta a tutti’. Questa fraternità senza confini è una vera utopia, un mondo senza luogo, una società universale futura libera dal grave male della fedeltà alla propria patria – il terribile crimine di Donald Trump contro l’amore universale”. 

Di parere diametralmente opposto è invece Commonweal, altro bastione intellettuale americano, di campo progressista: qui solo lodi per la lettera papale e strenuo sostegno per il gruppo di vescovi coraggiosi che ha apertamente sfidato Trump e sodali. 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.