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Morire per Kyiv? Prime crepe fra i conservatori d'America

Dibattito sulla rivista First Things, Bibbia del conservatorismo cristiano statunitense: Trump ha fatto bene a mollare Zelensky?

Matteo Matzuzzi

Il teologo luterano Gilbert Meilaender scrive: “Ci vuole più di una certa audacia per un difensore dell’approccio di Trump all’Ucraina deplorare la vanità pagana. Nessun dubbio che Donald Trump sia un miscuglio di virtù e vizi. Potremmo supportare il suo approccio alla guerra in Ucraina. Potremmo votare per lui come il migliore di una brutta scelta. Ma perdiamo credibilità se sembriamo dimenticare che ‘la vanità pagana’ è una descrizione piuttosto adatta di lui”.

Roma. Il trattamento trumpiano del dossier ucraino scuote anche il mondo conservatore cattolico americano, quello che per decenni ha esaltato il principio della “guerra giusta” e che ora si trova a fare i conti con un presidente repubblicano che minaccia di lasciare Kyiv in mano ai mezzi corazzati russi. Un esempio del dibattito che si è aperto in quei settori intellettuali è rappresentato dallo scambio di opinioni apparso su First Things, la più autorevole rivista conservatrice cattolica.  Ad aprire le danze era stato, giorni fa, il direttore R. R. Reno, che plaudiva alle mosse di Donald Trump e – soprattutto – ai risultati del vertice in Arabia fra Marco Rubio e Sergei Lavrov. Il ragionamento di Reno è tutto imperniato sulla dottrina della guerra giusta, la cui tradizione “richiede che determiniamo una causa giusta, ma ci chiede anche di riflettere sulla probabilità di successo, tra gli altri criteri”. Ricorda, l’autore, che due anni prima aveva scritto: “Può essere nobile combattere una battaglia che si sa persa, ma secondo l’insegnamento della giusta guerra, farlo riflette la vanità pagana, non il giudizio morale cristiano. Un leader saggio non intraprende imprese irrealistiche, soprattutto quando sono in gioco delle vite”. A giudizio di Reno, “è immorale scatenare la violenza della guerra quando gli obiettivi non possono essere raggiunti, per quanto giusti possano essere questi obiettivi. L’esercito ucraino è incapace di porre fine alle ostilità raggiungendo la vittoria. Le nazioni dell’occidente non sono disposte a entrare nel conflitto con la forza e l’impegno necessari. Questi sembrano essere fatti indiscutibili. Il ragionamento morale deve fare i conti con la realtà. Il pensiero di Trump è lontano dalla riflessione sulla teoria della giusta guerra, ma lui sta riconoscendo la realtà e prendendo i provvedimenti necessari per porre fine a una guerra che non può essere vinta”. 

 

A rispondergli, sulla medesima rivista, è stato il teologo luterano Gilbert Meilaender, firma illustre e celebre di First Things: “Ci vuole più di una certa audacia per un difensore dell’approccio di Trump all’Ucraina deplorare la vanità pagana. Nessun dubbio che Donald Trump sia un miscuglio di virtù e vizi. Potremmo supportare il suo approccio alla guerra in Ucraina. Potremmo votare per lui come il migliore di una brutta scelta. Ma perdiamo credibilità se sembriamo dimenticare che ‘la vanità pagana’ è una descrizione piuttosto adatta di lui”. Si chiede Meilaender: Cosa vogliamo dire quando diciamo che non dovremmo fare la guerra (o continuare una guerra già in corso) a meno che non abbiamo una ragionevole speranza di successo nel raggiungere i nostri obiettivi di guerra? Tutto dipende da quali siano quegli obiettivi e cosa intendiamo per successo”. E più che a Monaco, con la consegna indolore dei Sudeti a Hitler nel torpore dell’Europa di allora, il teologo porta l’esempio della Finlandia, che resistette finché possibile alle pretese di Stalin, che la voleva occupare trasformandola in stato cuscinetto per evitare di avere i tedeschi alle porte di Leningrado. Lo fa citando Michael Walzer, quando scrisse che è fondamentale “cercare di comprendere la soddisfazione morale con cui la loro decisione di combattere fu accolta in tutto il mondo”. Fu accolta nello stesso modo – osserva Meilaender – in cui gran parte del mondo ha accolto la decisione ucraina di resistere all’aggressione russa recente. “I nostri valori comuni sono confermati e potenziati dalla lotta, mentre l’accomodamento, anche quando è la parte migliore della saggezza, diminuisce questi valori e ci lascia tutti impoveriti”. Questo, sostiene il teologo, è il punto: va bene discettare di vanità pagana, ma questo impoverimento “che pensa al mondo solo in termini di potere e di trattative fra grandi potenze, è peggiore”. E qualunque cosa si possa pensare su Zelensky, Putin e la guerra, non può nascondere il fatto che “noi americani siamo stati impoveriti da quell’imboscata del 28 febbraio”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.