Il Papa imbrigliato e silenzioso

Niente più coup de théâtre. Nel mondo che va in pezzi tra dazi e guerre, la nuova fase del pontificato è quella del Papa non interventista

Matteo Matzuzzi

Nel mondo sconvolto da tempeste finanziarie e belliche, di Francesco resta il sorriso con le cannule al naso sul sagrato di piazza San Pietro, mentre benedice a fatica i malati lì accorsi per il loro Giubileo. Si vedrà se trattasi di fase passeggera dovuta alla convalescenza imposta dai medici e dalla grave malattia o se il Papa imbrigliato sarà il segno della fase nuova e finale del pirotecnico pontificato bergogliano

Roma. Per settimane, dopo il superamento della fase più critica, diversi osservatori di questioni vaticane hanno parlato di “nuova fase del pontificato”. Impossibile delinearne i contenuti, capire in cosa consistesse questo momento nuovo, con un Francesco reso fragile dalla polmonite e dall’età avanzata. Si facevano paragoni con la situazione di vent’anni fa, quando il mondo vide il sofferente e afono Giovanni Paolo II prima aggrappato alla croce durante la Via Crucis e poi benedicente dalla finestra del Palazzo apostolico. A qualche settimana dalle dimissioni dall’ospedale, al di là delle rassicurazioni sui lievi miglioramenti, la terapia e la fisioterapia, la messa in cappellina e l’attesa per sorprese domenicali, si intuisce già la portata del cambiamento. Francesco c’è, va in piazza fendendo la folla con la sua carrozzina, saluta e scambia qualche battuta, ma appare come un osservatore silenzioso del mondo che va in pezzi. I dazi che minacciano i risparmi dei lavoratori, le guerre commerciali foriere – chissà – di neanche troppo futuri scontri armati, l’Europa disorientata dagli insulti trumpiani, le lezioni di J. D. Vance sui princìpi comunitari. E i ricatti a Kyiv, il solito doppio gioco russo, la crisi in Terra santa. Il Papa guarda e non può dire niente, non può chiamare a raccolta i leader globali, anche solo su Zoom, come fatto tante volte. La prassi, fino a ottant’anni fa, era questa. Francesco, no. Lui è sempre stato in prima linea: quando a Kyiv suonavano le sirene d’allarme ché i russi erano alle porte, lui entrava all’ambasciata russa presso la Santa Sede. Sventolava i vessilli ucraini  nell’Aula Paolo VI e suggeriva di avere il coraggio d’alzare bandiera bianca quando “si vede che sei sconfitto”, attaccava la Nato che aveva minacciato Mosca e poi definiva l’antico amico Kirill “chierichetto di Putin”. Esaltava Caterina la grande e al contempo piangeva per la martoriata ucraina. Discutibile o no, improvvisata o meno, la posizione del Papa c’era.

 

Francesco si gettava a capofitto nelle grandi questioni internazionali, anche a costo di complicare la posizione sua e della Chiesa e facendo trattenere il respiro alla felpata diplomazia della Santa Sede, celeberrima  proprio per il suo low profile e il misurato esercizio della parola. Basti vedere quanto logorati siano i rapporti con Israele e con una parte dell’ebraismo dopo il pogrom del 7 ottobre e la reazione papale, tra richieste di accertare genocidi e altri gesti che hanno provocato la reazione del governo Netanyahu. S’è ripetuto quanto accaduto un secolo fa, con il povero Benedetto XV che fu insultato da tutti per il suo appello contro la “inutile strage”: i giornali francesi lo definirono “crucco”, quelli tedeschi lo accusarono di fare il gioco di Parigi. Francesco ha sempre agito da protagonista, fra gesti eclatanti  e parole lontane dal lessico diplomaticamente corretto. Anche pochi giorni prima del ricovero, mentre Trump prendeva possesso della Casa Bianca e nominava un critico di Francesco come proprio rappresentante in Vaticano, il Papa sceglieva come arcivescovo di Washington il più antitrumpiano di tutti i cardinali americani. Nonostante anche qualcuno, non troppo lontano da Santa Marta, suggerisse più prudenza. Ora, nel mondo sconvolto da tempeste finanziarie e belliche, di Francesco resta il sorriso con le cannule al naso sul sagrato di piazza San Pietro, mentre benedice a fatica i malati lì accorsi per il loro Giubileo. Si vedrà se trattasi di fase passeggera dovuta alla convalescenza imposta dai medici e dalla grave malattia o se il Papa imbrigliato sarà il segno della fase nuova e finale del pirotecnico pontificato bergogliano.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.