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La polizia controllerà le omelie. La persecuzione senza fine in Nicaragua

Il regime di Daniel Ortega non arretra dalla sua guerra alla Chiesa. Dopo aver definito "blasfemo e pedofilo" il Vaticano, ora torna alla carica contro i sacerdoti

Matteo Matzuzzi

Il rapporto di Christian Solidarity Worldwide (Csw) rende conto di 222 violazioni della libertà religiosa nel corso del 2024, cui si aggiungono 46 casi di detenzione arbitraria di esponenti religiosi. Tutto fa pensare che il 2025 non sarà da meno

Roma. Fino all’anno scorso, la restrizione maggiore imposta dal regime dei coniugi Ortega ai cattolici durante la Quaresima e la Pasqua in Nicaragua consisteva nel divieto di organizzare processioni pubbliche, comprese le sempre affollate e caratteristiche Via Crucis. Quest’anno, mentre il governo minaccia di non riconoscere più le nomine episcopali firmate dal Papa a Roma e punta a un controllo effettivo delle autorità laiche sull’attività della Chiesa, si registra un passo ulteriore: ogni settimana, i sacerdoti devono recarsi nella più vicina stazione di polizia per essere sottoposti a un interrogatorio. Gli agenti hanno il compito di capire in cosa consista l’attività del prete seduto lì di fronte, cosa abbia detto, fatto nei precedenti sette giorni e – se possibile – cosa gli passi per la testa. L’ultimo rapporto di Christian Solidarity Worldwide (Csw) ha reso noto che la novità è già divenuta prassi: a qualche sacerdote – che non può lasciare la propria comunità senza previa autorizzazione – è stato assegnato un funzionario di sorveglianza permanente. Il che crea un problema ulteriore, visto che per sopperire alla grave carenza di clero dovuta ai massicci arresti e alle frequenti espulsioni dal paese, le diocesi avevano per quanto possibile improntato un sistema di collaborazioni per garantire  i sacramenti. Infatti, a essere maggiormente colpita dal provvedimento è la diocesi di Matagalpa, quella del vescovo Rolando Álvarez, imprigionato in un carcere di massima sicurezza, condannato e poi imbarcato su un aereo per Roma. Esiliato in cambio del silenzio. Così almeno speravano i governanti a Managua. Proprio un’intervista rilasciata lo scorso febbraio da mons. Álvarez (la prima dopo l’uscita dal suo paese) ha scatenato l’ira di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo. In tale circostanza, il presule aveva detto: “Sono stato ordinato vescovo per Matagalpa, sono il capo visibile della Chiesa di Matagalpa e amministratore apostolico di Estelí e continuerò a esserlo fino a quando Dio non lo vorrà più”. Due giorni dopo, il governo rispose definendo le parole di Álvarez “un attacco” alla sovranità del Nicaragua e inquadrando il Vaticano come una istituzione “depravata e pedofila”. La Chiesa nicaraguense, sottolineava la nota del regime, è piena di “bugiardi e farisei”. Niente di nuovo o di meno elegante rispetto a quanto più volte uscito dalla bocca di Daniel Ortega e della sua dolce metà negli anni scorsi.

 

Nel corso delle “visite” settimanali presso le stazioni di Polizia, i preti devono presentare anche la copia delle loro omelie, che non devono contenere traccia di riferimenti politici o – meglio – elementi di critica al governo. I più fortunati (dipende dalle diocesi) ricevono la visita degli agenti a domicilio: “Vengono qui e ci chiedono il programma settimanale delle attività, anche quelle del vescovo, se possibile. Bisogna rendere conto di messe, attività missionarie e incontri avvenuti in ambito pastorale”. Il rapporto Csw rende conto di 222 violazioni della libertà religiosa nel corso del 2024, cui si aggiungono 46 casi di detenzione arbitraria di esponenti religiosi. Tutto fa pensare che il 2025 non sarà da meno.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.