(Ansa)

Il tramonto di Bergoglio

Prima il popolo: Papa Francesco e il suo pontificato

Loris Zanatta

Erede della cristianità ispanica, cresciuto in un cattolicesimo che quella cristianità elevò a mito, Bergoglio ne ha sempre sposato la filosofia della storia. Alla fine, l’élite corrompe il popolo puro

Il pontificato di Francesco è tramontato. Che dirne, a caldo? Di papologi abbonda il nostro paese, non meno che di papisti. Seri e preparati, scrupolosi e informati, sono i migliori al mondo: ne hanno spolpato per dodici anni i discorsi, sezionato i gesti, decifrato le mosse. Taluni eccedono talvolta nell’immedesimazione, altri esagerano il peso della funzione: come fosse nato nel 2013, se non avesse settantotto turbolenti anni argentini alle spalle, se a cambiare di ruolo si cambiasse d’anima e cultura, di mentalità e di natura. Tant’è: non dubito che produrranno ottime analisi. Io che papologo non sono e di papista non ho un grammo, ma che da trent’anni studio la politica e la religione argentine, penso l’opposto: Francesco, per me, è incomprensibile accantonando Bergoglio. A farlo, si produce una cascata di equivoci. Di più: vedo nel suo papato l’esplicita e coerente trasposizione sul piano globale della sua esperienza nazionale. Non vedo novità nella sua politica né nel suo magistero, nulla di inedito né alcun mistero: tutto era già stato detto, tutto era già stato fatto. Solo su scala minore.


Il primo tratto, padre di tutti gli altri, tipico del cattolicesimo latinoamericano, è il populismo. Molti sobbalzeranno indignati, grideranno smentite e riuniranno citazioni contrarie. Ma con le parole di Bergoglio si va ovunque e da nessuna parte, s’entra nel borgesiano giardino dei sentieri che si biforcano. Meglio lasciar perdere, ci si può dimostrate tutto e tutto il contrario: parlare contorto ma pensare chiaro, insegnava agli allievi. Pensare cosa? La sua parabola è la stessa dal noviziato, la stessa d’ogni populismo: c’era una volta un popolo puro, il popolo forgiato dall’evangelizzazione. Ma ecco un’élite distaccarsene, ecco i “ceti coloniali” contaminarlo. Finché un Redentore, un caudillo popolare e religioso, mettiamo un Perón, non giungeva a redimerlo, a condurlo alla terra promessa: vivrete in paradiso. Apocalissi e redenzione, millenarismo ed escatologia: Dio, patria e popolo uniti in un solo fascio, intrisi di “cultura” comune, la cultura cristiana. Niente d’originale, di Bergoglio gronda la storia latinoamericana, storia di una cristianità fiorita al riparo dalla frattura della cristianità europea. Una cristianità dove la politica era religione e la religione politica, il cittadino fedele e il fedele cittadino, confine labile in Argentina, evanescente in Bergoglio. Perché no? Prendendo i voti aveva giurato di “conquistare tutto il mondo e tutti i nemici”.   

 

Il retaggio populista porta dritto  a un tratto saliente del pontificato: la viscerale avversione per la civiltà occidentale 

 

Il retaggio populista, qualcuno direbbe “integralista”, porta dritto come un fuso al secondo tratto del pontificato: la viscerale avversione alla civiltà occidentale, se per tale s’intende la delicata miscela di fede e scienza, spirito e ragione, comunità e individuo, Atene e Gerusalemme. Sento di nuovo i rimbrotti: Francesco rievoca orgoglioso i De Gasperi e gli Adenauer! Rivendica la laicità e la democrazia! Ripeto: attenzione con le parole. Ciò che il Papa ammette a Roma o Bruxelles, chissà se per diplomazia o per convinzione, non vale a Giacarta o La Paz. Men che meno a Buenos Aires, dove Bergoglio imputava alle democrazie cristiane il cedimento alla modernità, dove additava Calvino e Locke a becchini della cristianità, a nemici giurati di Dio e del popolo. Si capisce: erede della cristianità ispanica cresciuto in un cattolicesimo che quella cristianità elevò a mito nazionale e popolare, Bergoglio ne ha sempre sposato la filosofia della storia. L’élite che corruppe il popolo puro, il filo rosso che ne unisce le tracce, sono quelli che dalla Riforma protestante conducono al razionalismo, dall’illuminismo al liberalismo e al capitalismo. E tutti insieme alla secolarizzazione, equivalente a “scristianizzazione”, tuonò infinite volte. Quante “guerre di Dio” contro i “nuovi illuminismi”! Quante crociate contro le “élite pagane”! Francesco sacrifica di buon grado la ragione alla “religiosità popolare”, la scienza alla “saggezza degli ultimi”, l’individuo al “popolo”, Atene a Gerusalemme, la modernità anglosassone, focolaio secolare, a quella latina, un tempo confessionale. Nelle “vere conquiste dell’illuminismo” valorizzate dal Papa tedesco, il Papa argentino ha sempre additato il peccato originale occidentale.


La geopolitica bergogliana, terzo tratto del pontificato, è il logico coronamento dei due tratti precedenti, quello di maggior peso e più durevole prospettiva. E’ una geopolitica antiliberale e antioccidentale. Neanch’essa originale, è la proiezione globale della Terza Posizione peronista, “comunista di destra” perché comunitaria ma religiosa, “fascista di sinistra” perché nazionale ma popolare. Via aperta dai fascismi cristiani tra “plutocrazie demoliberali” e “comunismo ateo”. Il Terzomondismo ne è l’ideale prolungamento, “l’ecumenismo del povero” la ricetta: “verrà un’epoca di grande sincretismo”, apprese Bergoglio dai suoi maestri, di una religione capace di sintetizzare “l’insieme delle tradizioni religiose mondiali” e di unirle contro il nemico comune, l’occidente secolare e le élite occidentalizzate che attentano alle virtù religiose dei “popoli”. Non v’è viaggio nel sud del mondo in cui Francesco non abbia ammonito i “poveri” a non cedere alle sirene tentatrici del progresso occidentale. Da ciò il profondo antiamericanismo e da ciò l’attrazione per il populismo russo, l’ammirazione per la matrice confuciana del comunismo cinese. La loro ispirazione olistica evoca la cristianità antica, è l’antitesi del razionalismo occidentale. 


Dunque? Francesco lascia in dote la tanto annunciata “rivoluzione”? Domanda inutile, etichetta banale: dipende da cosa intendiamo per tale. Gli stessi motivi per cui taluni lo trovano rivoluzionario, paiono a me convincenti per considerarlo conservatore. Tale, d’altronde, è sempre stato per gli argentini. Qualcuno ne troverà “progressista” l’opposizione del popolo alle élite, del plebeo all’intellettuale, del sud al nord. Anche il malcelato disprezzo per la scienza e la ragione? Più che progressismo io lo definirei pauperismo, paternalismo, atavica resistenza all’innovazione e all’autodeterminazione dell’individuo. 

  
“Progressista” è parsa a tanti la flessibilità sui “valori non negoziabili”, su cui era stato inflessibile in passato. Flessibilità verbale più che fattuale. Ma come intenderla? Figlio di un cattolicesimo integrale, più che “la pecora nell’ovile” Bergoglio ha sempre cercato di recuperare quelle che dall’ovile erano sfuggite: tutti dentro! Non considera la Chiesa una parte del tutto, ma il tutto che unifica le parti: sogna di ricondurre la differenza all’unità, il conflitto ad armonia, le persone al “popolo”. Il “progressismo” è in tal caso nemico del pluralismo. Il laico o il non credente non hanno dignità come tali: sono cristiani inconsapevoli o il Demonio in persona. Non a caso Bergoglio ha fatto il progressista nell’occidente secolarizzato, dove le pecore in libera uscita sono maggioranza, ma ha cavalcato la tradizione ovunque altrove nel mondo, dove s’è sgolato a denunciare il pericolo delle “colonizzazioni ideologiche” occidentali. 

Il suo pontificato è stato troppo liquido e contraddittorio, retorico e confusionario, onnisciente e inconsistente


Cosa rimarrà del pontificato di Francesco? Chi lo sa! Sbaglierò, ma ho l’impressione che lascerà un’impronta meno profonda di quanto faceva presagire agli inizi, di quanto promettevano i grandi propositi e i bombastici annunci dei cantori: troppo liquido e contraddittorio, retorico e confusionario, onnisciente e inconsistente. Pescare un Papa nella Chiesa argentina era d’altronde un azzardo: una Chiesa trionfalista che trionfando aveva contribuito alla decadenza di un paese un tempo colmo di speranze! Un modello di Chiesa buono per il passato più che per il futuro. Francesco lascia irrisolti i nodi che era stato chiamato a sciogliere: la religiosità cresce ma per altri canali, la secolarizzazione procede per i suoi. Il distacco dall’occidente rimarrà la sua impronta più profonda. Conviene? Da laico, vedo più rischi che opportunità.

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