Foto ANSA

L'intervento

Contro il trionfalismo in morte del Papa che sa tanto di peronismo

Loris Zanatta

Lasciatemi la mia cultura liberale e non costringetemi ad abbracciare il nazional-cattolicesimo ideologico. Lettera da un cittadino laico

L’ammetto: sono uno di coloro che ha trovato oscena la marcia trionfalista intonata dallo stato, dalla politica e dai media in morte del Papa. Non solo mi ha indignato, ma l’ho trovata di pessimo gusto, irrispettosa di un momento di dolore dei fedeli, indegna non dico di un di paese laico, ma almeno adulto. Ci hanno inzuppato tutti senza pudore il biscotto. Fossi un credente, griderei al peccato: idolatria. Poiché non lo sono, mi limito a notare un sottile tanfo di culto della personalità.

Capita solo a me? Ad occhio, non direi: ne conosco tanti altrettanto disgustati. Eppure sento spiegare che va bene così, che dovrei gioirne perché gli italiani sono, anzi siamo, “culturalmente cattolici”. Caramba! Qualcuno che finalmente difende la cultura italiana! Dio, patria e popolo. In tempi in cui tanto s’abusa della parola “fascista”, ecco finalmente l’occasione d’usarla a proposito, ecco una cosa fascistissima. Anzi, date le circostanze, peronistissima. Perché no? La destra sociale, la galassia neofascista, ha sempre amato il peronismo, l’ha sempre additato a modello. E più di tutti l’evitismo, il culto a Eva Perón, così caro a Bergoglio. Il suo ideologo fu un gesuita cui il futuro Papa fu spesso accostato nel suo paese. Dio, Patria e popolo era il suo mantra. 

 

              

 

Funziona così: poiché il popolo è “culturalmente cattolico”, cattolico dev’essere lo stato, cattolica la società, cattoliche le leggi. Il Popolo di Dio sopra il Popolo della Costituzione. La Chiesa s’eleva a vox populi, a custode della “identità del popolo”. E lo stato a suo braccio secolare, a stato etico che veglia sulla nostra “cattolicità culturale”. Come ai bei vecchi tempi del nazional cattolicesimo. Questa, d’altronde, è sempre stata l’ideologia bergogliana. 

Che curioso! Da quando portavo i pantaloni corti sento sbraitare che abbiamo ucciso Dio e dimenticato la Patria, che la secolarizzazione ha strappato le nostre radici e da allora galleggiamo in un oceano di egoismo e consumismo, cinismo e relativismo. Non eravamo diventati una civiltà “culturalmente pagana”? Macché: contrordine, siamo una “Nazione Cattolica” cattolica “culturalmente”. Proprio come l’Argentina di Perón! Se poi aleggia il dubbio, lo stato lo fuga. Vedi mai che gli italiani non siano abbastanza “culturalmente cattolici” da andare a un concerto, magari allo stadio, il giorno della morte del Papa? Vietiamolo. Per il loro bene, in difesa della loro cultura. Perché non chiuderei i gelatai? Sarà culturalmente cattolico gustare un bel cono a Papa insepolto? E copulare? Perché non proibirlo? Suvvia, popolo cattolico, perché cedere alla libido proprio ora?

Grazie di tutto, ma se non vi dispiace io preferirei tenermi la mia cultura. Una cultura laica e liberale. Posso? Cresciuto in ambiente cattolico e comunista, ci ho messo una vita di studio a crearmela. Volete negarmela? A che titolo? Lo so, lo so cos’avete in mente: che sono un “cattolico culturale” mio malgrado, un cattolico inconsapevole. Beh, parlate per voi! Quand’anche poi lo fossi, e qui lo scoglio diventa una montagna, cosa significherebbe in concreto? Esiste forse un solo modo, il modo univoco di un popolo omogeneo, di essere “culturalmente cattolico”? Chi lo decide? Lo stato? La Chiesa? A quando il decalogo del buon “cattolico culturale”? 

Così pensava Bergoglio, così era il suo mondo ideale, purtroppo spezzato, spiegava, prima da Giovanni Calvino, padre del razionalismo, poi da John Locke, inventore della borghesia, i becchini della Cristianità. Tutti, per lui, eravamo “cattolici culturali”, pecore smarrite da ricondurre all’unico ovile. Salvo gli atei, gli atei convinti: loro erano il Diavolo, diceva papale papale. E il Diavolo, per lui, non era un’allegoria! Diversi sì, ma nell’unità: voleva ri-cristianizzarci, come il peronismo aveva ri-cristianizzato la vecchia Argentina secolare. Di nuovo: Dio, Patria e popolo, un solo fascio, il vero argentino era peronista e il peronista un cattolico culturale. Gli altri? Antipopolo, antipatria, “ceti coloniali”, parole di Bergoglio. Tale era il succo della sua “teologia della cultura”, degna erede del nazionalismo cattolico, un tipico esempio di “miseria dello storicismo” che proiettava sullo scenario della storia umana l’escatologia manichea della storia sacra. 

Tutto ciò parrà un banale sfogo, divertente o irritante a seconda dei gusti, ma è tutt’altro. E’ una cosa molto seria. Quando cominciai a studiare l’Argentina, remota per geografia ma vicinissima per storia e cultura, speravo che seguisse i passi dell’Italia. Sognavo che consolidasse la democrazia, superasse l’atavico settarismo, placasse l’infantile nazionalismo, sviluppasse una cultura tollerante e pluralista. Che superasse il retaggio peronista, insomma, che il peronismo si “costituzionalizzasse” cessando di invocare la “cultura del popolo” per ergersi a “movimento nazionale”, a religione della Patria. Oltre trent’anni dopo osservo che è stata l’Itala a calcare le orme argentine, a peronizzarsi. La nozione di paese “culturalmente cattolico”, l’idolatria bergogliana di ex fascisti ed ex comunisti, destra cattolica e cattolici di sinistra, ne è la miglior prova. 

La forza della democrazia italiana dal Dopoguerra in poi, una delle poche, quella che più aiutò a superare il dogma totalitario fascista della comunità organica unita da una fede condivisa, fede religiosa e fede politica, era stato il delicato equilibrio tra un polo laico e un polo cattolico. Il polo laico smussò il confessionalismo cattolico, il sogno della “nuova cristianità”. Il polo cattolico arrotondò gli spigoli anticlericali del vecchio laicismo. Ora non più. Il mondo laico è muto, sembra estinto, travolto dal “ritorno delle identità”, dalla “rinascita delle religioni”. Come quello di un secolo fa, il mondo attuale pullula di nazionalismi culturali e religiosi: national cristianesimi, nazional islamismi, nazional buddismi, nazional confucianesimi. Bergoglio li ha coltivati, così come combattendo l’illuminismo europeo coltivò sempre il nazional cattolicesimo argentino. 

Il peronismo, diceva il clero peronista, è un “comunismo di destra”, un “comunismo cattolico”. Il peronismo, hanno scritto molti studiosi, è un “fascismo di sinistra”, ossia un fascismo popolare e cristiano. L’anticapitalismo cattolico, qualcuno lo spieghi al salotto della Gruber, l’odio della Chiesa verso l’economia mercantile, è ben più antico di quello marxista. Al cospetto di san Giovanni Crisostomo, così amato e citato da Bergoglio, Mao e Guevara erano dilettati, notavano i guerriglieri peronisti, nati nelle parrocchie. Sarà così “progressista”?  

Risultato: la vasta egemonia del pensiero nazional cattolico, il culto della povertà e l’odio verso il progresso cui esso imputava di contaminare la “cultura cattolica” del popolo, non solo hanno castrato la crescita economica e creato una granitica cultura assistenzialista. Peggio! Hanno trasformato la religione in identità politica e la politica in identità religiosa. Tutti hanno combattuto e ancora combattono col vangelo in mano una cronica guerra civile religiosa, ognuno convinto di esprimere la “vera” volontà del popolo, di incarnarne la “vera” cultura cattolica. Su questa china cammina l’Italia, “destra” e “sinistra” ignare delle loro spaventose affinità, entrambe invocando l’eredità di Bergoglio. Auguri. Non so voi, ma io mi chiamo fuori: sono un cittadino laico, non la pecora di un “popolo cattolico”.
 

Di più su questi argomenti: