
(Ansa)
Cari tradizionalisti, da tradizionalista vi spiego perché Francesco è stato un Pontefice provvidenziale
Nei suoi dodici anni di pontificato, Bergoglio ha agito con coerenza al Concilio Vaticano II, mostrando le contraddizioni interne al tradizionalismo cattolico. Diverso nei toni da Benedetto XVI, ha però incarnato la stessa linea conciliare
Premesso che de mortuis nihil nisi bonum, nei dodici anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio si è detto di tutto e di più. E si è detto di tutto, negativamente, soprattutto in relazione al suo atteggiamento “repressivo” verso la tradizione e i tradizionalisti. Ora, che Francesco abbia avuto una spiccata insofferenza verso quella parte del mondo cattolico è vero, ma questo non è stato necessariamente un male: la sua visione è stata lucida e consequenziale. Consequenziale a cosa? All’effettiva e chiara ecclesiologia del Concilio Vaticano II che nessun successore di Paolo VI ha mai (ovviamente) rinnegato. Chi scrive è un cosiddetto “tradizionalista”, ma chi scrive è anche paradossalmente convinto che Bergoglio abbia agito con provvidenziale coerenza e, soprattutto, abbia giocato carte scoperte smascherando contraddizioni e camuffamenti. In questi anni, nel mondo tradizionalista si è spesso gridato alla rottura con Benedetto XVI – posizioni senza dubbio giustificate da atteggiamenti sopra le righe di Francesco – senza però andare davvero oltre alla superficie. Al di là delle apparenze, infatti, si scopre quella che è, in realtà, un’ovvietà: tra Bergoglio e i suoi predecessori, Ratzinger compreso, non vi è stata alcuna rottura o differenza sostanziale. Tutti, Francesco come i suoi predecessori, hanno incarnato il Vaticano II e le sue riforme: tutti, con solamente modi e stili differenti, hanno promosso stabilmente insegnamenti quali la libertà religiosa, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la collegialità, la nuova messa.
Francesco, dunque, ha rappresentato in maniera completa il frutto del Concilio Vaticano II esattamente tanto quanto Benedetto XVI e Giovanni Paolo II: lo ha fatto, solamente, in maniera diversa, una diversità resa maggiormente evidente in quanto immediatamente successiva alle congetture ratzingeriane. Cosa fece, infatti, Benedetto XVI? Nel suo celebre discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 tentò l’impossibile: accordare il Concilio e la sua interpretazione. Disse, cioè, che le derive nefaste del post Concilio furono imputabili non tanto ai documenti, quanto piuttosto all’interpretazione di rottura che se ne diede: occorrerebbe, invece, secondo Benedetto XVI, leggere le riforme Concilio “in continuità”. Si tratta di una conciliazione impossibile per chiunque conosca “la lettera”, prima dello “spirito”, del Concilio: “Lo iato tra le affermazioni dei Papi del XIX secolo e la nuova visione che inizia con la Pacem in terris è evidente”, ammise lo stesso Benedetto XVI nel 2014 commentando il libro Marcello Pera Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità e pubblicato proprio dal Foglio nel 2018. La sussistenza stessa delle due ermeneutiche, del resto ammessa anche da Ratzinger, testimonia esattamente la contraddizione stessa del Concilio. Benedetto XVI ha seminato illusioni e alimentato un mondo molto insidioso e a tratti problematico quale è quello del tradizionalismo; Francesco no e, anzi, ha abbandonato la speculazione teologica camminando spedito nel solco conciliare che fu anche da Ratzinger.
Sullo sfondo c’è poi il tema della messa in latino, ovvero secondo le rubriche del messale antecedente a quello promulgato nel 1969 da Paolo VI. Prima la clemenza delle concessioni Summorum pontificum di Benedetto XVI e, dopo, la loro revoca e il pugno duro di Traditionis custodes di Francesco. Due documenti opposti dei quali, però, solamente il secondo può dirsi coerente. La visione ratzingerianamessa antica e messa nuova quali “due usi dell’unico rito” era un ossimoro perché l’ecclesiologia preconciliare non è e non può essere quella del Vaticano II: tra di loro c’è quello “iato” di cui parlava Benedetto XVI. Le due messe veicolano due teologie e due chiese purtroppo antitetiche e incompatibili: la messa di Pio V è la lex orandi della lex credendi preconciliare, la messa di Paolo VI è la lex orandi della lex credendi conciliare. Tutto questo, Francesco, piaccia o meno, lo ha portato alla luce del sole.