
L'esibizione nella cattedrale di Paderborn (Foto X)
Polli in chiesa e latino "inquietante". Prime grane per Papa Leone
Tra danze di gallinacei senza testa in cattedrale e vescovi censori del latino, Prevost scappa ai Castelli. E fa bene
Chissà cosa deve essere passato nella testa dell’imperturbabile Leone XIV quando ha visto quel che accade nella cattedrale di Paderborn, in Germania, e nella diocesi di Charlotte, in North Carolina. Robe da far venire voglia di alzare gli occhi al Cielo, di sospirare e di prendersi una salutare mezza giornata di pausa a Castel Gandolfo. Come ha fatto.
Roma. Chissà cosa deve essere passato nella testa dell’imperturbabile Leone XIV quando ha visto quel che accade nella cattedrale di Paderborn, in Germania, e nella diocesi di Charlotte, in North Carolina. Robe da far venire voglia di alzare gli occhi al Cielo, di sospirare e di prendersi una salutare mezza giornata di pausa a Castel Gandolfo. Come ha fatto. A Paderborn, lo scorso 15 maggio, si festeggiavano i 1.250 anni della Westfalia e si è pensato bene di celebrare tale importante ricorrenza anche nella chiesa principale. Il programma dell’evento consisteva nell’esibizione di alcuni ballerini (maschi a petto nudo e donne in top) davanti all’altare, peraltro allestito con croce in mezzo alle candele. La coreografia prevedeva che i partecipanti sollevassero da una ciotola di metallo (quelle che si vedono a MasterChef, per capirsi) polli spennati e senza testa, li cullassero, li posassero sulle ginocchia e sul petto. Quindi, mentre un artista intonava a cappella “Live is Life”, a quanto pare un brano pop-rock austriaco, cambiando la parola “Live”, vita, in “Fleisch”, carne, i colleghi facevano roteare in aria i poveri polli, lanciandoli e riprendendoli con balzi scenici che denotavano indubbie capacità ginniche. Un po’ come fanno gli sbandieratori prima del Palio di Siena. In prima fila, un po’ allibiti, assistevano alla scena il presidente federale Frank-Walter Steinmeier e l’arcivescovo, mons. Udo Bentz. Immediata la spiegazione degli organizzatori: “La Westfalia è una regione agricola e in Westfalia ci sono molti polli”. Rapido, rapidissimo, il collegamento con i princìpi cari anche alla Chiesa di questi tempi, e cioè il “benessere animale”, la “sostenibilità”, “l’industria della carne”, “l’ecologia”, “la nutrizione” e il “cambiamento climatico”. Le motivazioni addotte non devono aver convinto il già tiepido uditorio cattolico sinodale tedesco, tant’è che subito è partita una petizione online che in meno di due settimane ha ottenuto quasi ventiduemila firme. Semplice la formulazione del testo sottoposto all’adesione: “Qualunque cosa gli artisti volessero dire, si trattava in ogni caso di una profanazione dello spazio sacro e una blasfemia contro le verità cristiane”. Un plauso alla sintetica chiarezza tedesca. Il capitolo della cattedrale ha recepito il tutto e si è scusato, promettendo che d’ora in poi vigilerà accuratamente sugli eventi programmati in quel luogo sacro. Evitando volteggi di pollame davanti all’altare consacrato.
Dall’altra parte dell’oceano, niente gallinacei, ma altre lamentele petizioni.
Succede che in North Carolina, nella diocesi di Charlotte, è saltata fuori una lunghissima e dettagliatissima lettera del vescovo locale, il frate francescano Michael Thomas Martin, che se la prende con i tanti (negli Stati Uniti sono parecchi) partecipanti alla messa vetus ordo. Non solo ha relegato i cultori della messa tridentina in una sperduta parrocchia della diocesi, ma ha anche deciso di prevenire ogni sorta di contaminazione tra messa “nuova” e messa “vecchia”. Come? Bandendo il latino, tanto per cominciare, che a quanto pare è troppo “frequente e diffuso” nelle parrocchie locali. La gente, scrive mons. Martin, non lo capisce più, quindi non ha senso usarlo ed è “inquietante” (sic) che tanti preti lo usino durante le celebrazioni. Il problema, stando al vescovo, è che “quando il latino viene usato, altri elementi del Messale del 1962 vi si intrecciano sempre”. Infatti, nel dettagliato moderno Sillabo del monsignore, si prevede di togliere croce e candele dall’altare, di vietare gli inchini, di proibire paramenti old style (il che dimostra che i primi a guardare pianete e casule sono quelli che dicono di essere del tutto indifferenti alla questione, ndr) e perfino il campanello che dà inizio alla celebrazione. Quello che in ogni chiesa dell’orbe cattolico annuncia che il celebrante sta entrando dalla sacrestia. Meglio, ritiene mons. Martin, che qualcuno salga all’ambone, saluti la platea con un buongiorno o un buonasera e dica che si sta per iniziare. Il senso di ciò? Mysterium fidei. Anzi, mistero della fede. Se non una indubbia dose di ideologia che si riversa sui poveri fedeli di Charlotte. Pare che i propositi del vescovo, vista la protesta, siano stati rallentati: la bozza “rubata” sarebbe solo una traccia di lavoro iniziale, in attesa di confrontarsi ancora con il clero e i laici per trovare le soluzioni più opportune. E, magari, di capire se le misure draconiane non possano scontrarsi con il proposito d’amore e unità invocato da Leone XIV durante la messa d’insediamento. Immancabile, a corredo di tutto, un’altra petizione in cui si chiede al novello Pontefice di togliere tutte le limitazioni alla messa vetus ordo decise da Francesco. Di solito, l’effetto delle raccolte firme con cui si tira per la talare il Papa è l’opposto di quel che ci si propone. Le lezioni del passato, evidentemente, non sono servite.