Dal Patto delle Sardine a quello dell'Arancino. Gastronomia della politica
A Catania Salvini, Berlusconi e Meloni siglano la “pace” elettorale. Ma la storia della Seconda Repubblica insegna che le intese raggiunte a tavola durano sempre poco
Non è un segreto che in Italia il partito dell'antipolitica abbia costruito gran parte del suo successo sull'idea che la politica sia tutto un “magna-magna”. E anche se si tratta di un luogo comune, di uno stereotipo e, soprattutto, di un'espressione figurata, è difficile non pensarci quando, dopo la loro cena a Catania, l'intesa che sarebbe stata sottoscritta da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, viene presentata come il “patto dell'arancino”. Dopotutto gran parte della storia della Seconda Repubblica è stata scandita da “accordi gastronomici” di questo tipo.
La gran parte di tali manicaretti, però, alla fine è andata di traverso ai protagonisti: gli accordi sono falliti, o hanno avuto breve durata. Principio di tutto viene considerato quel “Patto delle Sardine” con cui il 22 dicembre del 1994 Umberto Bossi, Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione si accordarono per far cadere il primo governo Berlusconi. Come avrebbe ricordato lo stesso Bossi, i tre cospiratori si erano ritrovati nella casa del leader leghista alla periferia di Roma: “Un posto che a quell'ora di sera, d'inverno, è tetro e cupo come tutte le periferie. La mia casa è molto modesta, roba da operai, niente a che vedere con le ville e i palazzi berlusconiani. Eravamo attorno al tavolo, Buttiglione, D'Alema e io. A un certo punto chiesi: avete fame? La risposta fu un sì piuttosto timido: avevano capito che in quella casa non c'era da aspettarsi una gran cena. Oltretutto non si vedeva l'ombra di una colf, o di un cuoco. Andai in cucina, aprii il frigorifero, e ci trovai una confezione di pan carré, alcune scatole di sardine e tre o quattro lattine di birra e Coca-Cola. Piazzai tutto sul tavolo, aprii lo scatolame e cominciai a mettere insieme qualcosa di simile a dei tramezzini”. Bossi racconta che D’Alema addentando il tramezzino gli avrebbe allora detto: “Adesso ho capito che siete popolari come noi”.
Ma il lìder Maximo, noto preparatore di risotto i tv, avrebbe poi smentito. Non il pranzo, ma il suo gradimento: “Preferii digiunare. Quel frugale pasto fu consumato da Bossi e Buttiglione”. Che, peraltro, sarebbero poi tornati entrambi col Cav.
Prima di vedersi con Bossi, peraltro, come leader dei due principali partiti di opposizione dell’epoca i due pugliesi Buttiglione e D’Alema si erano incontrati a Gallipoli a luglio, per concordare la loro strategia di fronte a quel piatto che avrebbe poi fatto parlare di “Patto delle Vongole”.
Fu invece la moglie di Gianni Letta, in qualità di padrona di casa, a preparare la crostata che venne servita come dessert alla cena della Camiluccia in un cui ancora D’Alema, assieme all’allora leader del Ppi Franco Marini, a Silvio Berlusconi e a Gianfranco Fini, il 18 giugno del 1997, si accordarono per salvare la Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali. Stavolta D'Alema non fu schizzinoso come con le sardine di Bossi, e il consenso sulla bontà del dolce favorì l’altro consenso sul principio di un governo di tipo semipresidenziale con legge elettorale maggioritaria a doppio turno. L'esponente dell'allora Pds (e presidente della Commissione) si sarebbe anche impegnato a non spingere sulla legge sul conflitto di interessi e Berlusconi a far proseguire i lavori della Bicamerale fino all'accordo finale. Neanche questo “Patto della Crostata”, come lo ribattezzò Cossiga, ha però prodotto effetti duraturi. Peraltro, anni dopo Cesare Salvi avrebbe tirato fuori una rivelazione in prospettiva più sconvolgente dei file desecretati da Donald Trump sull'assassinio di JFK: la signora Letta non avrebbe servito una crostata ma un budino!
Evidentemente avvezzo alla “politica gastronomica”, D’Alema il 30 luglio 2008 fu protagonista anche di un “Patto della Spigola” con l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, a proposito della necessità di riforme istituzionali. Forse per riequilibrare, il 16 gennaio del 2009 un altro “Patto della Spigola” ci sarebbe stato anche tra Fini a Berlusconi. Qualche maligno insinuò che in realtà il piatto principale sarebbe stato un altro, ma ne sarebbe stato evidenziato uno diverso perché “Patto del Carciofo” sarebbe suonato malissimo. In teoria l’incontro portò a un’intesa su giustizia e soprattutto sulla confluenza di An nel nuovo Pdl, che infatti sarebbe avvenuta a fine marzo. Ma forse la spigola al posto del carciofo non è stato l’unico equivoco di quell’appuntamento, visto il modo in cui poi andò a finire tra Fini e il Cav.
Il 6 ottobre 2010 arrivò poi “il Patto della Pajata” tra l’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno e Umberto Bossi che si era reso protagonista di alcune intemerate anti-romane. All'incontro contribuirono anche i leghisti con i paioli di polenta. Ma di quell'intesa rimangono soprattutto le immagini del presidente della Regione Renata Polverini che imboccava Bossi. Mentre Alemanno avrebbe poi ammesso che il patto non aveva funzionato. Ragionando nel lungo termine, però, si può pensare che da lì venga l’asse Meloni-Salvini che si è ora saldato al Cav attorno agli arancini siciliani tanto cari anche a Montalbano.
La politica della tavola, però, non è solo un'esclusiva italiana. O meglio, l’8 settembre del 2014, Matteo Renzi convocò alla Festa dell’Unità di Bologna il primo ministro francese socialista Manuel Valls, il segretario del Partito socialista operaio spagnolo Pedro Sánchez, il segretario generale del Pse Hakim Post ed il leader dei laburisti olandese Diederik Samson. Malgrado gli oltre 30 grandi, i leader della famiglia socialista europea si ritrovarono a mangiare tortellini in brodo. Un “Patto del Tortellino” per riformare e rilanciare l’Europa, anche se purtroppo di lì a poco sui protagonisti di quel pranzo si sarebbe abbattuta la disgrazia elettorale. Maledizione del Tortellino? Forse.
Non mancano poi esempi a livello di politica locale: dal “Patto del Risotto” all’interno della Lega a quello “della ‘Nduja” tra esponenti calabresi del Pd. Ma forse è il caso di fermarsi qui. Non vi è venuta una certa fame?