In morte dei fast chef
Bocuse e Marchesi sono vivi. Invece il destino dei i cuochi ipercinetici, mediatici e da pubblicità è la bollitura
Qualcuno o qualcosa sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa e non è soltanto l’anagrafe, che pure un ruolo nella morte di Gualtiero Marchesi (classe 1930) e di Paul Bocuse (classe 1926) certamente l’ha avuto. Oggi è sufficiente entrare a far parte della categoria degli chef per venire seppelliti dal ridicolo, come nota Antonio Albanese nel suo “Lenticchie alla julienne”. Come si è arrivati a questo punto? Colpa della televisione? Anche. Entrando nel fatuo mondo dello spettacolo i cuochi sono usciti da quello serissimo della gastronomia, e non importa che si credano ubiqui come il Cracco intervistato dal Giornale: “Quando finivo di registrare ‘Masterchef’ o ‘Hell’s Kitchen’ alle 8 di sera prendevo la moto o la macchina e venivo qua senza passare da casa. Anche se ero cotto”. L’onnipresenza è un attributo di Dio, il destino dei cuochi ipercinetici è appunto la bollitura.
Colpa della pubblicità? Anche. E’ vero che nemmeno il Divino Gualtiero seppe respingere le sue lusinghe ma civettò con McDonald’s in vecchiaia, da monumento vivente, quando il suo posto nella storia della cucina italiana era ormai indiscutibile. Se invece il posto nella storia della cucina italiana non ce l’hai, o è molto opinato, disponi di un capitale di credibilità minimo e facendo pubblicità al panino o alla patatina lo consumi in un boccone e non lo ricostituisci più. Abbiamo tutti famiglia (Cracco due) e non intendo moraleggiare, sto svolgendo un’inchiesta, voglio soltanto scoprire chi o che cosa sta uccidendo uno dopo l’altro i nostri cuochi. Colpa della megalomania? Anche. Massimo Bottura, che un posto nella storia della cucina italiana ce l’ha senz’altro, ci tiene a far sapere che whatsappa con Renzi e con Obama, che il New York Times scrive continuamente di lui, che con la sua associazione Food for Soul combatte, cuoco eroico dei Due Mondi, in Europa e in Sudamerica “lo spreco alimentare a supporto dell’inclusione sociale” favorendo “un approccio olistico al nutrimento”… Io volevo riassaggiare il tortellino in crema di parmigiano-reggiano, non volevo entrare in una setta internazionale di salvatori del mondo. Colpa della frenesia, dell’accelerazione tipica della nostra epoca? Anche. L’alta cucina non è certamente fast food ma è sempre più fast chef, specie nelle grandi città i cuochi sfrecciano da un indirizzo all’altro, non fai in tempo a prenotare che hanno già cambiato indirizzo. Quanti bravissimi cuochi si sono susseguiti alla guida del bellissimo Trussardi alla Scala? A un certo punto ho perso il conto e ho gettato la spugna, ho smesso di andarci perché mi sembrava di stare sull’ottovolante, non in un ristorante.
“Anima è quel che nasce nelle cose quando durano”, me lo ha insegnato Nicolás Gómez Dávila che non avrebbe apprezzato tutta questa impermanenza. Oppure sì, ma in chiave comica, perché i movimenti accelerati dei vecchi film muti fanno ridere. Degna della migliore slapstick comedy è la vicenda del ristorante Essenza, sempre a Milano. Il cuoco hipster-tatuato Eugenio Boer lo ha lasciato quindici giorni dopo aver preso la stella Michelin e di quell’Essenza, uno dei miei migliori pranzi del 2017, resta solo la foto del filetto crudo di cervo, venuta anche abbastanza male. Come possono dei cuochi randagi costruirsi cornice e piedistallo, competere con un Bocuse che ha officiato nel medesimo paesello per oltre sessant’anni? Qualcuno o qualcosa sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa e dev’essere lo stesso qualcuno o qualcosa che negli anni scorsi ha ucciso la critica gastronomica: la guida Michelin, che comunque subisce anch’essa la crisi della mediazione intellettuale, non fa critica bensì apodittica, innalzando e atterrando a capriccio o a casaccio o a chissà, senza mai motivare nulla, e per il resto c’è TripAdvisor, il cieco potere plebeo. Ecco, declinate le élite i poveri cuochi sono ora costantemente bullizzati dalla massa internettiana e televisiva, facile agli applausi come ai fischi: ovvio che molti di loro non reggano la tensione, che impazziscano, che si trasformino in marionette, caricature, zombi, fantasmi dei cuochi che furono.