Vegan-vegetariani che dicono no alla carne artificiale: il nemico è il "carnismo"
Più che amare gli animali, odiano la scienza e il capitalismo
Roma. Sono sempre più insistenti le notizie sulla possibilità di ottenere carne da cellule coltivate in vitro, senza cioè ricorrere alla macellazione. Sorprendentemente, questa possibilità fantascientifica che l’innovazione sta offrendo ha sollevato un dibattito acceso tra gli stessi che più si interessano al benessere degli animali. Da vegani e animalisti ci si aspetterebbe un totale sostegno alla causa. La possibilità di replicare il sapore, l’aspetto o l’odore della carne può convincere persone sensibili alla questione animale, ma non disposte a rinunciare al gusto e alla tradizione della carne, a spostare i consumi sul nuovo prodotto. Ma l’entusiasmo degli animalisti per la nuova tecnologia è tutt’altro che universale. Secondo la britannica Vegan Society, il prodotto non farà che “perpetuare il mito che la carne sia, e sia destinata a restare, intrinsecamente desiderabile”. “Perché affrontare così tanti problemi e costi per sostituire un cibo di cui semplicemente non abbiamo bisogno?”, fa eco Lynne Elliot della Vegetarian Society. Di recente ha espresso perplessità anche il filosofo Leonardo Caffo (il Diego Fusaro del veganesimo, secondo i più maligni). Troppa la distanza tra una soluzione del genere e quella che dovrebbe essere la vera battaglia degli animalisti: la “distruzione della barriera etica fra uomo e animale”. Con la carne in vitro “non si esce dal simbolismo carnista”. Non importa che gli animali siano effettivamente risparmiati: la simbologia è più importante.
Tra le varie obiezioni, due sembrano essere le più ricorrenti: non tutti saranno soddisfatti dalla carne sintetica e non tutti potranno permettersela. Vero è che la ricerca è ancora lontana dalla produzione su larga scala. Ma ipotizziamo che il prezzo della carne in vitro scenda al punto da essere commercializzata, anche se a un prezzo più alto rispetto alla carne da allevamento. Per i beni che nascono da investimenti nelle nuove tecnologie, non sarebbe un fenomeno insolito. Le imprese investono in ricerca e sviluppo anche per abbassare i costi di produzione dei beni che offrono. Computer e cellulari sono oggi alla portata di tutti perché qualcuno in passato ha studiato modi di produzione che aumentassero le unità prodotte a parità di costi.
Risparmio e scrupoli etici sono entrambe ragioni importanti per le scelte dei consumatori. All’interno di uno spettro che va dalla totale irrinunciabilità alla carne all’adesione al veganesimo a qualunque prezzo, la maggior parte dei consumatori si collocherà in un qualche punto intermedio: ciascuno avrà un punto oltre il quale un aumento del prezzo farà passare in secondo piano l’interesse per l’animale. Gli imprenditori attenti cercano di intercettare quella clientela proponendo varie soluzioni, che vanno dalla carne etica al cibo cruelty free. La carne sintetica non sarà che un’opzione in più. All’inizio, è vero, sarà un privilegio per pochi. Ma la disponibilità all’acquisto dei più ricchi unita alla domanda per quel prodotto indurrà le imprese a investire in R&S: come per tutte le innovazioni, saranno i più ricchi a sussidiare la ricerca a beneficio dei più poveri.
Ma al duro e puro del veganesimo non basta. Esige che l’abbandono della carne sia accompagnato da una rivoluzione culturale. Una scelta dettata da ragioni di risparmio lo lascia perplesso, perché non intacca l’idea che il consumo di carne sia eticamente legittimo. Le persone rinunceranno alla carne solo perché qualcuno ha messo a disposizione un’alternativa più comoda. Sarà l’ennesima vittoria del capitalismo: nessuna rivoluzione nei modi di produzione, tanto meno nel nostro rapporto con il regno animale, bensì sottomissione alle logiche del mercato.
Ma mentre l’animalista intransigente si affanna a perseguire utopie irraggiungibili, le preferenze del pubblico e la ricerca del profitto hanno già iniziato a muoversi per ridurre la sofferenza animale. Il cambiamento sociale avviene lentamente, specie se riguarda le nostre percezioni morali prima ancora che le nostre preferenze come consumatori. Il mercato potrà facilitare una scelta che oggi molti trovano onerosa, promuovendo indirettamente una graduale modificazione delle opinioni. Contrastare tale dinamica per mantenere la purezza di un’ideologia significa che, in fondo, si odia il capitalismo, e l’idea che le persone abbiano valori e preferenze diverse, molto più di quanto si amino gli animali.
Antisemitismo e fornelli