Addio cara Guida Rossa Michelin, le tue stelle sono stelle fredde
Presentata l’edizione 2019. Ma gli ispettori cosa hanno visto?
Conosco un imprenditore emiliano che evita di assumere laureati perché li trova saccenti ed esigenti, candidati alla frustrazione dalla loro presunzione. Io sono un edonista emiliano ed evito di frequentare cuochi stellati perché li trovo saccenti ed esigenti, presuntuosi, arroganti, e sfigurati dall’ansia di prestazione. Nei loro piatti non ho mai trovato un capello, magari, mi avrebbe divertito, ho invece trovato molti metaforici schizzi di sudore perché fare il cuoco gommato è uno stress indicibile e a me passa l’appetito pensando all’ansia che gocciola in cucina, alle torme di cuochi e aiuto-cuochi tatuati come nelle antiche galere, guarda caso, che legati al fornello anziché al remo bestemmiano tutti i Santi per portare in tavola entro pochi minuti un piatto quadrato con sette schizzetti di ingredienti e colori diversi ognuno collocato al posto esatto (molti stellati modernissimi sono rimasti artisticamente agli anni Quaranta, al dripping di Jackson Pollock, e filosoficamente agli anni Sessanta, alla decostruzione di Jacques Derrida).
Non vorrei, ma devo, entrare nel merito dei giudizi della Guida Michelin 2019, presentata oggi con bella coerenza a Parma, città di ristorazione supponente e inesistente. Mi fa pure piacere che Mauro Uliassi abbia finalmente, a sessant’anni suonati, preso le tre stelle. Senigallia è cittadina papalina perfetta, Uliassi è cuoco umanamente piacevole, non freudianamente anale come tanti colleghi, e il suo è uno dei pochi ristoranti stellati dove avrei voglia di tornare. Ma proprio la tardiva promozione di un cuoco già grande al tempo del sesto governo Andreotti fa pensare alla scarsa velocità degli ispettori: più che su gomma sembrano muoversi su cingoli. Che poi nelle parti basse della classifica, nella categoria Bib Gourmand centrata sul famigerato rapporto qualità/prezzo (dove la Michelin si sovrappone a TripAdvisor), ho trovato delle anticaglie incredibili, trattorie coi grissini confezionati, ristoranti con gli stendardi del Lions locale alle pareti... L’ultimo ispettore ci sarà passato quarant’anni fa, oppure ha gusti da centoquarantenne. E la stella assegnata al Cannavacciuolo Bistrot Novara dell’omonimo personaggio televisivo? Evidentemente è molto migliorato da quando ci ho pranzato io. Molto moltissimo. Ma i più interessanti sono i 29 neostellati ossia un elenco di dispiaceri di tendenza (anche se magari la tendenza è vecchia come il cucco). Il Confusion Lounge di Porto Cervo ferisce l’orgoglio sardo e il Vermentino, promuovendo innanzitutto gli “champagne di grandi maison”. Il Restaurant Sapio (o Sapìo?) di Catania ferisce i meridionali non provinciali: lo chef si vanta delle “innumerevoli esperienze al Nord Italia”, come se al Sud non si potesse imparare a cucinare. Il Qafiz di Santa Cristina d’Aspromonte, col suo minaccioso nome libico, mi ferisce come mi ferisce ogni barcone: ci andasse a mangiare il sindaco di Riace. Il Danilo Ciavattini di Viterbo mi ferisce in quanto estimatore del nuovo realismo filosofico di Maurizio Ferraris: “Ogni decostruzione senza ricostruzione è irresponsabilità”. E Ciavattini porta in tavola un’irresponsabile “zuppa inglese scomposta”. L’Abocar di Rimini ferisce la Romagna tutta: Seppia, Brie e Carota? Lo squacquerone non andava bene? Lo Spazio 7 di Torino ferisce l’arte figurativa e dunque l’umanesimo: inserito all’interno della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ne riproduce il settarismo iconoclasta fino a sembrare l’asettica mensa di una clinica svizzera di lusso. Le stelle Michelin sono stelle fredde: addio Guida Rossa, lontano da te c’è più calore.
Antisemitismo e fornelli