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Ma quale sovranista, a tavola Matteo Salvini è un globalista del bicchiere

Camillo Langone

Birre straniere, vini e bottiglie sbagliate. Se l’uomo è ciò che beve, allora il ministro dell'Interno non è ciò che dice

Perché chiamate sovranista Matteo Salvini? Mica l’ho capito. Se permettete sovranista sono io che non bevo birra, mai, di nessun tipo, né multinazionale né artigianale (o artiggianale come si dice a Roma), e che se bevo vini di Langa li bevo in bottiglia albese. Forse non capisco questa cosa del Salvini sovranista perché non mi occupo di politica ma di gastronomica, e il capo della Lega quando mangia e soprattutto quando beve si dimostra spesso e volentieri un globalista.

 

Lo seguo su Instagram e non per polemizzare, verbo da comari televisive, e nemmeno per studiarlo scientificamente, ché io non sono un entomologo e lui non è un insetto, ma per simpatia pre-politica e appunto per vedere cosa beve. Se vent’anni fa ci fosse stato Instagram non avrei seguito Bossi siccome beveva, e forse beve tutt’ora, Coca-Cola: per patrioti come me e come l’antico liberale Raymond Aron, un simbolo d’invasione. L’equivalente liquido di kebab e noodles. Salvini con la bibita di Atlanta non l’ho mai visto, magari l’avrà bevuta da ragazzo col rum che io invece mescolavo al chinotto ottenendo, in luogo del Cuba Libre, un Savona Libera. Seguo il capo leghista innanzitutto perché è alcolico come tutti noi maschi incalliti. Mi sembra uno col quale potersi attovagliare, a patto che a ordinare da bere sia io. Perché quando ordina lui raramente ci prende.

 

Non so, il 22 aprile stappa con Luca Zaia l’Etna Rosso prodotto da un’azienda che si vanta del “basso impatto ambientale, usando solo prodotti di estrazione naturale ed ecocompatibili, dal rame al caolino”. Il caolino non so ma il rame lo so: è un metallo pesante e tossico che si accumula nel suolo, inquina la falda acquifera e, parole di Stefania Tegli dell’università di Firenze, “determina un aumento allarmante della percentuale di batteri resistenti agli antibiotici”. Avete capito bene, il rame tanto usato da chi produce vini cosiddetti biologici, naturali, ancestrali, e consimili balle, è concausa della terribile antibiotico-resistenza. Pur essendo ministro dell’Interno e non della Salute, Salvini vini siffatti dovrebbe farli bere agli esponenti più antiscientifici e fantascientifici dei Cinque Stelle.

 

Il 18 ottobre, all’aeroporto di Mosca, si concede un boccale di birra e su questo non voglio redarguirlo perché magari l’alternativa era una vodka bruciastomaco. Ecco però il 13 novembre un errore che sembra una scelta, il Nebbiolo d’Alba di Gianni Gagliardo. Il problema non è il contenuto, che ignoro, bensì la forma: la bottiglia non è un’identitaria albese ma una generica bordolese. L’albese, o albeisa, materializza la peculiarità di una viticoltura orgogliosa, mentre la bordolese è la bottiglia più usata al mondo, dalla California all’Australia passando per Francia e Sudafrica: globalismo puro. La picconata all’identità enologica piemontese si ripete il 4 di questo mese con il famigerato post “Bucatini Barilla & Ragù Star”. Stavolta la bottiglia non si vede, viene soltanto citata: è sempre di Gianni Gagliardo e, basta controllare sul sito aziendale, è sempre una bordolese. Mi trattengo dal criticare gli ingredienti, l’impiattata, l’abbinamento, vuoi perché l’hanno già fatto in tanti, vuoi perché ci sento un afrore di tinello nazionalpopolare che comunque mi commuove. Lancio invece un grido da sovranista vero: prima i vetri italiani! E finisco col recente post birroso, pizza e Heineken in lattina, stavolta senza l’attenuante del trovarsi all’estero. Anche qui evito la stroncatura organolettica, troppo facile e abbastanza inutile.

 

Io se fossi pagato dagli italiani, come Salvini ripete spesso, e se scrivessi sui social “Viva la musica, la cultura e i prodotti italiani!” dopo un omaggio bacchico di Al Bano, com’è successo oggi, le birre di una multinazionale con sede in Olanda le lascerei agli hooligans in trasferta. Il primo nome d’Italia fu Enotria, non Beerland, dunque il consumo di birra (di qualsiasi birra) è intrinsecamente antinazionale. L’Italia è la terra col maggior numero di vitigni al mondo, il nostro vino è lavoro, cultura, tradizione, religione, paesaggio: chi lo ignora è un ignorante, chi lo boicotta è un nemico della patria. Dunque con la pizza io cosa bevo? Certamente vino sebbene non certo un Barolo bensì un rosa gardesano o abruzzese o pugliese, o un Lambrusco di Sorbara oppure, ancor meglio dal punto di vista storico-filologico, un rosso napoletano frizzante come il fantastico Gragnano. Feuerbach diceva che l’uomo è ciò che mangia, io dico che è ciò che beve: e allora Salvini non è ciò che dice.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).