Oggi si può scegliere tra un menù turistico e un menù turistico
Da una parte abbiamo le vecchie trattorie, dall’altra i nuovi ristoranti per donne spaesate
Si prenda atto che nella maggioranza dei ristoranti italiani ormai il menù è turistico o è turistico. Anche se non è lo stesso tipo di turismo. Da una parte abbiamo le vecchie trattorie per torpedoni, anziani, mangioni, tripponi, gite parrocchiali, e dunque i menù chilometrici, i tris di tortelli o di canederli o di gnocchi o di risotti o di orecchiette o di ravioli (a seconda della località), i grissini confezionati, le bruschette, le pennette, le formaggiere, le saliere per insaporire piatti già troppo salati e far esplodere pressioni già troppo alte, i dolci dolcissimi per far schizzare il diabete, il caffè e l’ammazzacaffè, il bruciore di stomaco… Dall’altra abbiamo i nuovi ristoranti per donne spaesate, corpo da dieta e palestra e mente da allergia e malattia, spesso con cane o maschio al guinzaglio, e dunque menù pieni di ingredienti esotici, a volte sudamericani ma più spesso asiatici per omaggiare il nuovo potere e dunque tanto zenzero e lime, fava tonka e passion fruit, radici di loto, pepe di Sechuan, curry, yuzu, hoisin, daikon, miso, quinoa, the Lapsang Souchong, insomma la cena come viaggio e oblio di sé. Comunque sempre turismo. Di questo doppio disastro, culturale prima che gastronomico, si sappia cogliere il buono: io, per esempio, leggo i menù e mi passa la fame.
Antisemitismo e fornelli