Le colline del prosecco patrimonio Unesco sono una sciagura
E' la standardizzazione dei prodotti che minaccia il nostro vero patrimonio enologico, ossia la varietà
Il prosecco smentisce Platone: non è vero che kalòs kai agathòs, che il bello corrisponde al buono. Visto che le vigne del prosecco ormai targato Unesco sono davvero belle mentre il vino che vi si produce davvero non è buono. Purtroppo (dico purtroppo perché amo Conegliano, città di grandi pittori e belle donne) la mia è un'affermazione facilmente dimostrabile: il prosecco è la base dello spritz e lo spritz è nato per correggere vini scadenti. Qualcuno si è mai sognato di aggiungere sciroppini al Barbaresco? Ce lo vedete Angelo Gaja trasformarsi in bartender? Non credo che Stefano Cinelli Colombini, insigne produttore in Montalcino, accetterebbe di degradare il suo Brunello a ingrediente irriconoscibile di long drink.
Invece sullo spritz i prosecchisti prosperano. Io stesso (sarò troppo platonico?) fatico a spiegarmi lo scarto, per non dire abisso, fra l'aspetto della magnifica collina di Cartizze e il suo modesto risultato enologico. Poi però leggo il disciplinare di produzione e comincio a comprendere: nella magnifica collina viene prodotto il Prosecco Dry e il Prosecco Dry può contenere zucchero fino alla diabetica quantità di 32 grammi per litro. Avete capito? Il prosecco non è secco. Fin dal nome una mistificazione, e sarà contento Machiavelli: “Colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare”.
Oltre a non essere secco, il prosecco, in particolare proprio quello delle colline Unesco, è profumato come una vecchia signora che non si rassegna. Chi berrebbe una boccetta di eau de toilette? Eppure tante persone bevono prosecco, Gewürztraminer, Müller Thurgau... Tanti uomini, perfino. Settimana scorsa presentavo il mio libro in Piazza Marina a Barletta e una femminista (sua autodefinizione) mi chiedeva se sussistessero ancora, in materia di vino, gusti maschili e gusti femminili. Purtroppo no, ho risposto, il palato delle masse è ormai livellato ovvero femminilizzato: vedo ovunque gruppi di uomini, non solo fidanzati plagiati dalla fidanzata, ordinare prosecco e spritz (addirittura con l'Aperol) senza vergognarsi minimamente. Il dolciastro, un tempo stereotipo del femminile, ha preso il sopravvento, e così le ordinazioni al bar somigliano alle sfilate di Gucci: genderless.
Il prosecco che nel 1986 Jerry Calà declassava a prosecchino in “Yuppies”, il prosecco che nel 2009 Giulia Gavagnin definiva, nella considerazione dei clienti dell'elegante Bar Baessato di Largo Europa, Padova, “il vino dei poveracci”... Attenzione: la mia non è la critica di uno champagnista o di un franciacortista bensì di un venetista, simpatizzante di San Marco anche nel bicchiere. Ben altri sono i vini da bere in Veneto: innanzitutto i rifermentati in bottiglia di Firmino Miotti e i moscati di Elisa Dilavanzo, lei sì kalòs kai agathòs. Se ho citato vignaioli di Vicenza e di Padova non crediate non possa coprire anche Treviso, ed ecco allora il verdiso frizzante di Gregoletto (proprio in zona prosecco) e il raboso sempre frizzante che sta vivendo un piccolo boom a San Polo di Piave, 28 metri sul livello del mare, nessuna magnifica collina e però gustosissimo vino. Secchissimo. Virilissimo. Adattissimo a rinfrescare la bocca dopo qualsiasi pietanza, mentre il prosecco la bocca la sporca, la stanca.
L'iscrizione delle magnifiche colline alla lista dei patrimoni Unesco è peggio che pioggia sul bagnato, è acquazzone sull'alluvione di oltre cinquecento milioni di bottiglie di prosecco, un quantitativo assurdo che somiglia a una bolla destinata a esplodere. Intanto è un danno inferto all'intera Italia vinicola: se tutti, da Siracusa al Brennero, ottusamente stappano prosecco chi mai berrà nascetta, nosiola, pedevendo, spergola, trebbiano, albana, pagadebit, maceratino, grechetto, bellone, pecorino, biancolella, fiano, bombino, verdeca, catarratto? La standardizzante, superintensiva monocoltura di Valdobbiadene e dintorni, ben più industriale che contadina (i veri contadini mescolavano le colture), minaccia il nostro vero patrimonio enologico, ossia la varietà: non esiste altro paese al mondo con 800 vitigni autoctoni... Le magnifiche colline di Conegliano e Valdobbiadene patrimonio della mediocrità, pertanto.