La non-carne è il nuovo affare
Bistecca d’élite. Anche Hamilton si infila nella corsa degli hamburger vegani
Milano. Un hamburger a base di proteine di piselli gialli, innaffiato da un succo di barbabietole, please. E’ quel che i londinesi potranno gustare nel cuore di Regent Street dal 2 settembre quando aprirà i battenti Neat Burger, un ristorante che serve “carne non carne”, ovvero le bistecche sintetiche sviluppate da Beyond Meat, la startup americana che rappresenta l’ultima frontiera dell’investimento politicamente corretto.
Dietro la catena inglese figura nientemeno che Lewis Hamilton, il campione britannico della Formula Uno che, forte di un patrimonio personale di 187 milioni di sterline, non ha difficoltà a sostenere lo sviluppo della catena di locali che già punta ad allargarsi anche oltre Oceano. In America le salsicce di soia e farina di patate dovranno sfidare azionisti altrettanto nobili: Leonardo DiCaprio e Bill Gates, ad esempio, che da tempo hanno investito in Beyond Meat, colosso che serve già 10 mila tavole calde e promette uno sviluppo record, non solo tra i vegani.
La spinta decisiva, infatti, può arrivare dal disastro dell’Amazzonia, frutto degli incendi provocati dalle multinazionali della carne, alla ricerca di spazi per nuovi allevamenti. Per produrre un chilo di carne occorrono 13.500 litri di acqua contro i 1.400 richiesti da un chilo di riso o i 1.200 per un chilo di grano. E’ questo, secondo Wall Street, il propellente della crescita di Beyond Meat e di Impossible Foods, le due società quotate che devono già fare i conti con le corporation tradizionali, Unilever in testa, che hanno annusato l’affare. A ragione, perché la carne che non è carne è senz’altro il grande business del momento: le azioni di Beyond Meat sono salite alle stelle oltre il 500 per cento dall’offerta dei titoli in Borsa nel maggio scorso con il risultato di portare il valore attuale dell’azienda oltre gli 11,7 miliardi di dollari, più di 100 volte le loro vendite nel 2018 comunque in forte crescita assieme allo sviluppo del ricettario.
In questi giorni nel sito del gruppo californiano spiccano i “beyond sausage hot italian” che, assicura l’azienda, hanno lo stesso sapore delle salsicce di puro suino ma non contengono né carne né soia né ingredienti ogm o con glutine. Una macchina da guerra al servizio dei vegani, in crescita geometrica, ma non solo. Chi rinuncia alla carne lo fa un po’ per la salute ma, soprattutto tra i millennial, per la tutela dell’ambiente. Di qui una sfida che ha già investito i tribunali cui i produttori di carne si stanno rivolgendo perché venga vietato l’uso della parola “carne” ai derivati vegetali o sintetici. Non sarà questo a frenare il boom dei ristoranti della carne-non-carne che possono contare anche sul “tradimento” di Kfc, la catena americana del pollo fritto che si è convertita alle ricette vegane. O di Hamilton che per l’impresa si è associato a due protagonisti del gossip: l’italiano Tommaso Chiabra, 33 anni, socio di Briatore al Billionaire di Dubai, e Ryan Bishti, proprietario di locali notturni nel Regno Unito e non solo.
Una compagnia che per la verità c’entra poco con Mark Post, il professore di fisiologia vascolare dell’università di Maastricht cui si devono le ricerche che hanno portato alla creazione del primo hamburger sintetico, ricavato dalle cellule del tessuto muscolare di una vacca, capace di rigenerarsi e di proliferare: un’idea nata per far cessare la violenza sugli animali che ha rischiato di finire nel nulla dieci anni fa quando il governo olandese, nel bel mezzo della crisi finanziaria innescata dal tracollo di Lehman Brothers, decise di tagliare i fondi alle ricerche che non promettevano ritorni immediati. Ma in soccorso arrivò Sergej Brin, uno dei due fondatori di Google che decise di finanziare il progetto. Nel 2013 Post poté così presentare in una conferenza stampa “la bistecca più cara del mondo, 250 mila euro per un chilo”. Solo una prima tappa perché, nei disegni dello scienziato, che nel 2015 ha lanciato la società Mesa Meat, già nel 2020 uno potrà coltivare la carne sintetica in casa. Brin ha allestito un serbatoio di 25 mila litri dove coltivare la sua carne. E liberare, almeno così spera, la Chianina o il Fassone dal rischio di finire sulla griglia. Bon appétit.
Antisemitismo e fornelli