Che brutta estate, quella dei ristoranti italiani
Tutti devoti al culto del limone mannaro e del prezzemolo forforoso, per non parlare degli arredi. Aspettando l'autunno
Che brutta estate (gastronomicamente parlando): inseguito per mesi dal limone mannaro, perseguitato tutto il tempo dal prezzemolo forforoso.
Il limone mannaro è la fetta di limone che nei ristoranti medi, il novanta per cento dei ristoranti italiani, assassina pesci bolliti e carni alla griglia e fritture varie ossia buona parte dei secondi piatti… Credevo si fosse estinto, come l’ippopotamo europeo e la tigre dai denti a sciabola, e invece TripAdvisor, il più solido argomento contro la democrazia diretta, deve averlo resuscitato. Non che a Parma si mangi meglio che nel resto d’Italia, anzi: semplicemente conosco il territorio e i ristoranti parmigiani che sporcano i piatti col prezzemolo e invitano a bruciare i cibi col limone li evito. Però quando sono in giro, e questa estate lo sono stato parecchio, capita perfino a me di mettere il piede in fallo.
E’ vero che spesso limone e prezzemolo sono preannunciati dai salini, dai pepini, dai grissini confezionati, orrori preventivamente ravvisabili nelle foto su internet. Ma non è detto. La realtà non è dualista, è complicata. Capita che il limone mannaro ululi su tavole minimaliste e capita, a onor del vero, che i salini affianchino tagliatelle squisite (l’altro giorno alla Trattoria al Bosco di Saonara, Padova). E comunque se devo stroncare, mi dispiace per gli avvocati, non voglio più fare nomi, non voglio più prendere querele. Scarico ogni colpa su Slow Food e Michelin, intermediari residui, che si ostinano a premiare con chiocciole e Bib Gourmand (l’omino mangione composto di pneumatici) trattorie limonose e ristoranti dal prezzemolo facile. Se la tradizione è senilità e sciatteria e magari, per via del sale, ipertensione, tenetevela.
E così a Cremona non so dove mangiare, a Mantova non so dove mangiare, a Reggio Emilia non so dove mangiare, a Vicenza non so dove mangiare, a Udine non so dove mangiare, a Trani non so dove mangiare… Finisco al Vecchia Marina di Roseto degli Abruzzi (almeno un nome ai lettori va dato in pasto) perché tutte ma proprio tutte le guide e tutti ma proprio tutti gli amici abruzzesi me lo decantano ed ecco un’insegna di modernariato involontario e tristissimo ed ecco un tavolo davanti alla porta del bagno (dopo aver pisciato gli avventori infallibilmente ci vengono addosso) ed ecco piatti quadrati e rettangolari, per giunta di marca araba, ed ecco pomodorini e radicchietti (la “insalatina per restare leggeri” dell’hit-flop di Rovazzi?) a molestare ogni ingrediente, ed ecco ovviamente limoni limoni limoni e prezzemolo prezzemolo prezzemolo. Ho trovato un nome per questa pioggia di erbetta che in tutta la penisola cade copiosa sulle tese dei piatti e poi si infila nei denti dei clienti: forfora verde. Ci sarebbe anche da dire che il prezzemolo è un abortivo ma visto che il popolo italiano brama l’estinzione rischio di fargli pubblicità, non sia mai.
Glisserei sul problema degli arredi per non imitare il mio amico Johnson Righeira che su Instagram pubblica le peggiori camere in cui ha dormito durante il tour estivo: mestizie di Sapri e di Ginosa, altro che “Formentera magica atmosfera”… Peggio dei ristoranti italiani medi ci sono solo gli alberghi italiani medi. Anzi no, ci sono i clienti italiani medi: alla Maison Bertolin di Arnad, Valle d’Aosta, in pochi minuti in tre diversi tavoli si siedono una donna che non beve vino, una donna che non mangia carne (cosa sei entrata a fare nel bistrot di un salumificio?), una donna allergica alla cipolla…Vorrei alzarmi e strozzarle, anche in nome dei poveri camerieri costretti a sopportare.
Che brutta estate ma chi se ne frega, come insegna Genesi 19 non bisogna voltarsi indietro, sarà un autunno (gastronomicamente) bellissimo.
Antisemitismo e fornelli