Fegato proibito
A New York i proibizionisti vietano la frattaglia d’oca e così trasformano la demagogia in pedagogia
Anche quest’anno niente Natale a New York, per quanto mi riguarda. E pure niente Capodanno. Pazienza. Le feste cristiane e pagane di inizio inverno esigono il lusso, rottura del grigiore feriale, e il foie gras è lusso puro. Ma i proibizionisti Usa, prima in California e adesso a New York, hanno deciso di vietare sia la produzione sia il consumo della lussuosa e lussuriosa frattaglia d’oca, volendoci morigerati e forse perfino morti (linea Ocasio-Cortez) così la smettiamo di consumare, inquinare, riscaldare il pianeta. Pazienza, dicevo: ci sfogheremo in Italia dove, con un’ipocrisia che è comunque meglio di niente, il fegato grasso non si può più produrre ma si può ancora, non so per quanto, mangiare.
Osserviamo la questione dal punto di vista salutistico. Quarantaquattro grammi di lipidi su cento grammi di fegato, per il palato sono il massimo e per la salute, di primo acchito, sono niente (Lierre Keith: “Aumentare il colesterolo alimentare ha un effetto trascurabile sul colesterolo ematico e nessuna correlazione con il rischio di sviluppare la malattia coronarica”). Approfondendo risultano invece qualcosa di positivo perché se ti sazi coi grassi hai meno desiderio di amidi assassini (“La patologia cardiaca, l’ipertensione e il diabete sono tutti causati dagli sbalzi di insulina provocati dai cereali e dagli zuccheri”).
Insomma i democratici liberticidi di New York (il sindaco Bill De Blasio è un democratico) stanno mettendo fuori legge un cibo buono e sano. Per la gioia degli animalari, per la disperazione dei lavoratori degli allevamenti, con una logica all’apparenza cruelty free e in sostanza brain free: le oche che non saranno più ingozzate non diventeranno animali da compagnia, verranno macellate. Fa lo stesso che oggi sia possibile produrre foie gras (magari un filo meno grasso e grosso ma comunque foie gras) senza gavage, l’alimentazione forzata. I proibizionisti sono manichei, non sono interessati alle sfumature. Figuriamoci se li si può far ragionare sull’accezione delle parole: l’esperienza dice che in molti casi oche e anatre si avvicinano al tubo del cibo spontaneamente e non è difficile capirlo, perfino noi che non abbiamo le penne, e non dobbiamo accumulare il grasso per sostenere lunghe migrazioni in volo, tendiamo a mangiare troppo senza che nessuno ci rimpinzi. E dunque di quale alimentazione forzata stiamo parlando? Sovra-alimentazione, magari.
Insomma i proibizionisti vogliono mettere a dieta pure le oche, ingorde che non sono altro. A questi potentissimi, ormai istituzionalissimi fanatici piace innanzitutto comandare: agli uomini, agli uccelli e anche al linguaggio. Per introdurre i nuovi divieti nelle menti, invero permeabilissime, dei sudditi, parlano di “scelta etica”, lessico che trasforma la demagogia in pedagogia e fa di loro degli araldi del Bene. Io li giudico, al contrario, rappresentanti del Male siccome la loro morale è immorale, antiumana (confonde l’uomo con l’animale), anticristiana (Gesù era onnivoro e all’onnivorismo esortava), antibiblica (Dio ci ha posto al vertice della Creazione per goderne senza particolari riguardi, anzi: “Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli animali della terra e in tutti gli uccelli del cielo”). Non mi si venga a parlare di superiore sensibilità: il 90 o 95 o 99 per cento dei proibizionisti è abortista e dunque di sensibilità molto inferiore, se le oche non si possono ingozzare mentre i bambini si possono aspirare e buttare nel secchio. Si avvicina l’11 novembre, san Martino, giorno legato all’antico detto “oca, castagne e vino”. L’anno scorso mi spinsi nella disamena Lomellina per mangiare coscia d’oca in una trattoria di Mortara: quest’anno niente coscia, voglio un fegato grosso così, simbolo succulento di coraggio e di libertà.
Antisemitismo e fornelli