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Questi giovani d'oggi non bevono più vino e le cause sono tutte spirituali

Camillo Langone

Cala in America la vendita della bevanda divina per eccellenza

Era troppo bello per essere vero e infatti non è più vero: il vino non è più irresistibile, non garantisce più l’espansione dell’export. L’avanzata del “frutto della vigna” (lo chiamava così il cardinale Pacelli) si sta arenando contro la diga dei giovani, i cosiddetti millennial che di Barolo e Brunello, Borgogna e Bordeaux (oltre che del cardinale Pacelli) nulla sanno e nulla vogliono sapere. L’anno scorso negli Stati Uniti le vendite di vino sono calate dello 0,9 per cento, il primo calo dopo decenni (non anni: decenni) di una crescita che sembrava inarrestabile. E allora il Wall Street Journal ha riunito un collegio di esperti che ha tosto emesso la sentenza: il vino si sta fermando innanzitutto per colpa del ricambio generazionale e poi per tre concause, 1) il salutismo, 2) l’impoverimento dei consumatori, 3) il rimpicciolimento delle case. Quest’ultima motivazione mi ha ricordato quelli che attribuiscono il crollo demografico alla carenza di asili nido… Dunque se i nuovi piani regolatori prevedessero un’adeguata cantina per ogni appartamento ecco che i nostri vignaioli potrebbero dormire fra quattro guanciali. Ovviamente non è così. Le ragioni della crisi del vino non sono materiali bensì spirituali. In un mondo ateo non poteva prosperare a lungo la bevanda divina per eccellenza. Senza il dionisismo, soppiantato da un neopaganesimo tendenzialmente vegano e perciò tendenzialmente astemio (qualcuno stappa grandi bottiglie per abbinarle al tofu?), senza il cristianesimo che ci aveva visto addirittura il Sangue di Dio, facendone ingrediente sacramentale, il vino stenta a reggersi. Solo soletto, senza il culto e senza la cultura, come fa? Il vino è storia e i giovani detestano il passato, il vino è radici e i giovani sono senza luogo, il vino è lentezza e i giovani hanno la soglia di attenzione sotto gli 8 secondi, il vino è letteratura e i giovani guardano YouTube… Ovvio che a interessarsene siano rimasti solo maschi benestanti e semibenestanti di mezz’età, uomini insopportabili che disquisiscono di etichette per darsi un tono. Per i nonni il vino era indispensabile alimento, per questi nipoti è fatuo status: ecco spiegato in due parole il crollo dei consumi italiani dai 113 litri pro capite del 1970 ai 43 attuali (ultimo dato Oiv, Organizzazione internazionale della vigna e del vino).

 

Il boom dei corsi di degustazione non mi conforta, i sommelier più che una cura mi sembrano una malattia. Ridurre il vino ad alcuni dati organolettici, per giunta noiosamente narrati, significa allontanarlo ancor più dalle sue affascinanti origini, ribadire il divorzio dalla religione e la separazione dalla cultura e finanche dall’agricoltura. Il Barolo non è diventato il Barolo per il “rosso granato con riflessi aranciati”, il “naso complesso”, “le note fruttate, floreali e speziate”, figuriamoci, bensì per Cavour, i Savoia, Monelli, Pavese, Brera, Soldati… Da questo elenco di nomi si capisce che c’entra pure la politica: se Garibaldi non avesse invaso il Regno delle Due Sicilie oggi sul podio oltre al Barolo e al Brunello (lanciato guarda caso da un reduce garibaldino) ci sarebbe il Pallagrello, prediletto da Ferdinando di Borbone.

 

Proposte? Le tre concause individuate dal Wall Street Journal si possono aggredire dicendo e ripetendo che: 1) le cantine non servono perché il vino va bevuto subito, visto che il 99 per cento delle bottiglie invecchiando peggiora (come il 99 per cento degli uomini, come il 99 per cento di tutto); 2) i soldi non contano perché ci sono moltissimi buoni vini sotto i 15 euri, e molti perfino sotto i 10 (mai sentito parlare di Lambrusco? Gutturnio? Bonarda? Freisa? Grignolino? Rosso Piceno? Montepulciano d’Abruzzo? Gragnano?); 3) la salute non c’entra perché il vino fa sicuramente meno male della tequila che sta invece registrando un’impennata dei consumi. Ma con la questione anagrafica come la mettiamo? I giovani, questi giovani scervellati presentemente dediti a cocktail, energizer, hard seltzer, canne, birrette, fra dieci o vent’anni non saranno più giovani. Bisogna che fra dieci o vent’anni facciano pace con la tradizione, altrimenti non ci sarà più vino e, culturalmente parlando, non ci saranno più nemmeno loro.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).