La quarantena di Vissani, tra sgombro in scatola e ottimo Château Margaux
“Basta alghe e sì ai prodotti locali”. Parla l’illustre cuoco
Stai facendo asporto?”. “Asporto ai cinghiali?”. Chiamo Vissanone e lo trovo a Baschi anzi a Casa Vissani. Per chi non ci fosse mai stato: l’indirizzo dell’illustre cuoco è molto lontano dal paese, a mezza strada fra Todi e Orvieto, nel verde della famosa Umbria verde. Il ristorante ha da una parte il lago di Corbara, dall’altra le colline del parco regionale e dunque per chilometri e chilometri anziché uomini si possono incontrare daini, aironi, mufloni e per l’appunto cinghiali. Il posto più sbagliato per darsi al delivery, il servizio che molti ristoranti finanche stellati, però urbani, stanno cercando di far funzionare in questi giorni di reclusione collettiva. A un Vissani impossibilitato a cucinare non resta che passeggiare nei suoi dieci ettari, guardare un po’ di televisione, rispondere alle mie domande.
“L’alta ristorazione sopravviverà al virus? Molti, fra cui Davide Oldani e Igles Corelli, dicono che cambierà tutto, alcuni come Niko Romito che non cambierà nulla…”. “Senz’altro bisognerà fare dei cambiamenti, bisognerà tornare al territorio e fare prezzi un po’ più giusti: non si possono più pagare 200-300 euro per andare a mangiare, è finito quel tempo”. “Nelle cucine in particolare cosa cambierà?”. “Io vorrei che tutti questi cuochi si mettessero davanti ai fornelli e cominciassero a rifare i piatti della nostra meravigliosa cucina regionale. Basta con la chimica, basta con le code di serpente, con le alghe, con le formiche…”. “Dunque basta alle impiattate complicate, ai ghirigori e agli schizzetti?”. “Sì, basta coi piatti composti col bisturi, con le pinzette, ma come si fa, ci vogliono dieci minuti per comporre un piatto con le pinzette e nel frattempo si è già raffreddato”. “E per quanto riguarda gli ingredienti? Basta alghe, e poi?”. “Ci vogliono più ingredienti locali, per far conoscere le piccole produzioni che sono i diamanti d’Italia, per ridare fiato ai piccoli produttori che adesso stanno morendo. Questa forse è la volta buona per i prodotti di casa nostra: la soia ci fa male!”. “Ho letto che gli estrogeni della soia abbassano il testosterone… E le nuove tecniche di cottura?”. “Sottovuoto sarebbe meglio che si mettessero l’uccello!”. “Ma come, un giovane cuoco, Tommaso Melilli, ha appena scritto un libro per dire che si mangia bene solo nei locali che usano sottovuoto e abbattitore”. “Se metti un pezzo di carne sottovuoto e lo cuoci a bassa temperatura gli togli la vita, lo fai morire. A bassa temperatura un bel maialino diventa carne bollita, alla fine ti sembra di mangiare un omogeneizzato, non capisci nemmeno se è maiale o vitella”. “Dunque il sottovuoto mai”. “Ma ragazzi, è roba riscaldata!”. “Forse la tecnologia serve innanzitutto a risparmiare tempo”. “Infatti i cuochi non arrivano più alle sei di mattina, non arrivano nemmeno alle nove, arrivano alle undici. Perché usano i fondi pre-preparati, si fanno mandare tutto pronto dalle piattaforme”. “Forse le nuove tecniche sono funzionali all’esplosione del delivery. A Baschi non ha senso ma in generale cosa pensi dell’asporto?”. “Con l’asporto non ci si guadagna, ci vogliono i contenitori, ci vuole il furgoncino… Una mia amica sta provando a fare asporto ma un giorno viene fermata da una pattuglia e la fanno passare, il giorno dopo viene fermata da un’altra pattuglia e la rimandano indietro…”.
“Questa però non è colpa del virus, è colpa della pandemia statalista: se dai allo stato il potere di salvarti dai allo stato il potere di tormentarti”. “Lo stato dice che ci darà dei soldi ma fra sei mesi bisognerà restituirli e come faremo? Finirà che le grandi catene internazionali compreranno tutto”. “Alla riapertura i ristoranti di campagna spaziosi come il tuo saranno avvantaggiati rispetto ai ristoranti di città, coi tavolini stretti?”. “Sì, io non ho il problema del distanziamento. Ma pensa ai locali coi tavolini all’esterno dove le persone stanno come le sardine”. “Stavano”. “Non si vedranno per molto tempo quegli assembramenti lì. Non pensate che in maggio quando i ristoranti riapriranno, se riapriranno, saranno subito pieni. La gente avrà altre priorità. E poi come si fa ad aprire con il cliente che arriva con la mascherina, il cameriere che deve avere la mascherina, forse i guanti…”. “Ci sarà più diffidenza in tutti campi”. “Scoperemo di meno, le donne ti chiederanno il certificato, il test”. “E’ possibile. L’uomo arretra e i cinghiali avanzano”. “Non mi parlare di cinghiali, qui siamo pieni di cinghiali, io ne ho preso uno con la macchina sulla strada vicino al lago: 15 mila euro di danni”. “Almeno lo avrai mangiato”. “Non mi piace la carne di cinghiale!”. “Perché mai?”. “Perché ci sento sempre l’odore del selvatico”. “E io che ti pensavo amante della selvaggina. Qual è la tua carne preferita?”. “L’agnello mi fa sognare, e il coniglio fritto, il pollo, la chianina…”.
“Cosa stai cucinando per te in questi giorni?”. “Non sto cucinando niente. Mi mangio la scatoletta con contorno di fagioli o di piselli o di cime di rape…”. “La scatoletta?”. “Di tonno, di sgombro… Sono molto amante dello sgombro, butto via l’olio che c’è dentro e ci metto l’olio mio”.
“Ti consolerai con il vino”. “Per bere bevo bene, a Pasqua ho bevuto una bottiglia di Château Margaux”. “Non pensavo fosse adatto allo sgombro in scatola”. “Lo Château Margaux con lo sgombro è meraviglioso! Oppure bevo il merlot di Caprai, il Picolit di Ronchi di Cialla, il Calcaia… Ieri ho aperto un Gaia & Rey di Gaja. Mi metto qui, vedo la televisione, mi imbriaco e vado a letto”. “Non ti manca di uscire e andare a mangiare in un ristorante che non sia il tuo?”. “Mi manca la gnocca, Camillo!”. “Certo, però magari anche due chiacchiere con un collega…”. “Non ci penso proprio, voglio bene a tutti quanti ma ognuno a casa sua”.
Lascio Vissanone ai suoi film d’azione (in tv vede soprattutto quelli, lo turbano e lo commuovono), alle sue scatolette di sgombro, alle sue bottiglie di Château Margaux, laggiù nell’Umbria disabitata fra gli odiati cinghiali. Quando riuscirò ad andare a Baschi gli chiederò di prepararmene uno, il grande cuoco non li apprezza ma certamente li cucina perché lui può cucinare qualsiasi cosa, il palato assoluto esiste e si nasconde dentro una testa da umbro antico e terragno, nella contraddizione così artistica dell’elefante ballerino ossia del portatore di pancia grossa e mani finissime, plebeo nel parlare quanto aristocratico nel comprare e nel cuocere. Genio italiano che bisogna liberare dalla lampada pandemica.