”Il plexiglass nel ristorante? Mio padre si rivolterebbe nella tomba”
Armando al Pantheon, ristorante storico del centro di Roma meta di artisti e politici, fa i conti con le nuove regole anti-coronavirus. Il padrone di casa Claudio Gargioli: “Entrerebbero meno di dieci clienti alla volta. Come faccio ad andare avanti?”
“Franca Rame me menerebbe a vedere il plexiglass tra i tavoli. Direbbe: leva sto affare”. Per non parlare di Dario Fo, che tante volte si è seduto con lei a mangiare. Così come Monicelli, Scola, Benigni, Morandi. Addirittura Sartre negli anni ’70. E il mondo della politica: da Bertinotti a Fassino, da Andreotti a Cossiga quando era presidente della Repubblica. Ora di politici ne vanno sempre meno perché per sedersi al ristorante c’è bisogno di prenotare. “E i politici non prenotano”, dice Claudio Gargioli, il padrone di casa e cuoco di Armando al Pantheon. L’eccezione è il senatore a vita Renzo Piano “che telefona anche con tre mesi di anticipo per mangiare da noi”. Durante il pasto si diverte a disegnare mondi sui coprimacchia, che poi firma e lascia al locale.
Questo tempio storico del classicismo della cucina romana rischia di perdere più dei due terzi dei suoi clienti. Rischia di vedere deturpata la sua sala in legno, calda e gentile, con i tavoli tutti asserragliati. Un angolo di romanità tra Camera e Senato. Le nuove regole anti-coronavirus “sono la morte economica”, dice Gargioli al Foglio. I tecnici dell’Inail e gli scienziati dell’Istituto superiore di sanità, dopo il via libera del Comitato tecnico-scientifico, hanno pubblicato le linee guida per la riapertura dei pubblici esercizi. Ristoranti, trattorie, pizzerie, bar e pub dovranno dividere la superficie interna del locale in quattro metri quadrati per ciascun cliente. Due metri di distanza per ogni persona.
Chi non saprà far di conto pagherà multe pesanti. E calcolatrice alla mano Gargioli fa i suoi conti: “Noi serviamo 36-38 clienti a servizio, la nostra sala è di 40 metri quadrati, ma c’è da considerare lo spazio dedicato alla cassa”. Vien fuori che “entrerebbero meno di dieci clienti alla volta. E come faccio ad andare avanti?”. Le spese sono importanti: 14 dipendenti, molti dei quali famigliari, essendo Armando un ristorante in cui tutta la famiglia Gargioli (figlie e fratello) da 50 anni a questa parte ha messo anima e corpo. Un affitto pesante da 10 mila euro al mese, che in questi quasi tre mesi di chiusura hanno sempre saldato. “Il governo ha pensato a un credito d’imposta, che tradotto significa: tu intanto paga poi con i nostri tempi ti ridiamo il 60%”. Il passo che lo ha condotto a chiedere un prestito in banca è stato breve. “Se i soldi serviranno li useremo per andare avanti in questi mesi, altrimenti li restituiremo più in fretta”.
Gargioli non è un comandante che abbandona la nave. “Non scendo per primo per potermi salvare. Rimango fino all’ultimo per mettere in salvo coloro che lavorano con me”. Ma i conti con la realtà sono durissimi. Il distanziamento dei tavoli, come detto, comporterà un taglio dei clienti enorme. La sanificazione continua degli arredi e ambienti un maggior costo dei prodotti. “Ma ve lo immaginate un cameriere che ogni volta che qualcuno esce dal bagno corre a sanificare? E chi rimane in sala?”.
I tavoli all'aperto non riusciranno a colmare le perdite. E sul punto aleggia la nebbia di norme annunciate ma non ancora approvate. “Noi stiamo lavorando per chiedere uno spazio all'aperto, ma ognuno dice una cosa diversa”. La giunta della sindaca Virginia Raggi sta pensando a deroghe sull’occupazione di suolo pubblico mentre minaccia di far arrivare i clienti ai locali solo con monopattini, biciclette e bus con accesso contingentato. Il Pd capitolino propone lo stop al pagamento della tassa fino a dicembre 2021. Il governo nel decreto Rilancio (ex dl Maggio) punta a fermare il canone fino ad ottobre di quest'anno e a semplificare le procedure. C'è già chi urla all'abusivismo legalizzato.
Claudio e Fabrizio Gargioli
“Non ci siamo”, dice Gargioli. Lo spazio all'aperto con tavoli, dehors, barriere, ombrelloni e strutture in legno non si mettono in piedi in due giorni. E non ha costo zero, soprattutto. “Se investo su una struttura all'aperto e il governo mi dà solo cinque mesi di tempo per poterla utilizzare a costo zero, non riesco a rifarmi dei costi”. I tavoli non sarebbero sufficienti a colmare le spese. Come dicevamo, c'è anche la spada di Damocle dell'affitto del locale. I dipendenti da pagare, che ora sono in cassa integrazione, ma dovranno tornare a indossare il grembiule. Guanti e mascherine. E il plexiglass? Franca Rame a parte, pure Armando, papà di Claudio, che ha aperto il ristorante nel 1961, “si rivolterebbe nella tomba”.
“Posso pure riempire il locale di barriere di plastica, cassa, tavoli, ovunque. Ma poi chi ci viene a mangiare? Ma i nostri politici lo capiscono che così cambiano una cultura?”, si domanda Gargioli. La tradizione delle tradizioni: mangiare al ristorante, in trattoria, che altro non è che stare insieme fuori dalle mura domestiche. “È la voglia di convivialità che porta un romano da Armando, non solo la cucina romana. Abbiamo clienti che da Milano partono una giornata, si siedono da noi, e poi tornano in Lombardia”. Per cercare di salvare il settore “vogliono farci credere che la ristorazione del futuro è il delivery e l'asporto. Una grande bugia”. Cibo “anonimo” che arriva direttamente a casa. Ma “allora mi apro un laboratorio, non c'è più bisogno dei ristoranti”.
Claudio è romano “de Roma”. Del “ma che te frega” a sdrammatizzare qualunque dramma. Dalla robusta vena dissacratoria. Cresciuto nel centro storico degli anni '60, quando era un quartiere popolare, povero, verace. Casa natale in via dei Balestrari, quella di famiglia in via dei Banchi Vecchi e prima ancora in via Giulia. La storia di famiglia è fatta di abbacchi, amatriciane, faraone, trippe e code alla vaccinara. Che fine fa tutto questo? Che fine fa la condivisione? La bottiglia di vino per festeggiare un evento? Il gruppo di amici che in barba alla chiusura rimangono a chiacchierare fino a quando manca solo il loro tavolo da sparecchiare? Andranno persi. “Dal Risorgimento torniamo al Medioevo”. Se ci vogliono anni a formare l'anima di un locale, ce ne vogliono molti ma molti di meno per renderlo un posto sterile. “È quello che fanno i supermercati che hanno sostituito i piccoli negozi. Anonimo è il posto, anonimi sono i clienti. Mentre una volta la fornaia sotto casa mi chiamava sempre per nome. Se vogliono trasformarci mi trovano contrario”. Che fine farà il ricordo dei siparietti di Franca Rame che quanto arrivava, nonostante la sala stracolma, urlava: “Claudio, dov'è il mio tavolo?”. “Se ne fregano”.
Antisemitismo e fornelli