Santissimi spaghetti
Sono il cibo di conforto per eccellenza. Con la quarantena, Lapo Elkann e Gianluca Isaia li hanno portati fino a Scampia. Tra solidarietà e identità
Per prima cosa, la storia della canna è apocrifa e non potrebbe essere altrimenti. Chiunque, anche meno saggio di Confucio, sa che la variabile del meteo, della corrente e del periodo di deposizione delle uova svolgono tutte un ruolo fondamentale nella riuscita della pesca, dunque regalare una lenza e fornire due dritte non è sufficiente per fare di un ricco pensionato un bravo pescatore, figuriamoci un povero che ha urgenza di mangiare adesso e subito. Il cibo può anche essere ignorante, anzi ci sono in giro chef che aggiungono l’aggettivo nei menu come se fosse un ingrediente, ma anche chi ha letto Robinson Crusoe per intero, mappe comprese, sa bene quanto tempo impieghi il naufrago ricco e colto a capire il giro delle correnti attorno all’isola (a dire il vero non l’aveva capito bene nemmeno Defoe, per non dire i critici che ci hanno provato, ma l’obiettivo era appunto di fare intendere quanto sia difficile organizzare una battuta pescosa). Gesù non andava in giro a offrire lenze, moltiplicava pani e pesci e nessuno implorava da lui un po’ d’accademia sulla pesca alla mosca.
Il cibo è condivisione in ogni senso: dono non solo dell’alimento, ma anche della propria bravura in cucina nel prepararlo
Il cibo è condivisione in ogni senso: dono non solo dell’alimento, ma anche della propria bravura in cucina nel prepararlo, cioè dono di sé, gesto d’amore, o su scala minore della propria capacità di sceglierlo, di selezionare il meglio, fossero perfino le scatole e i pacchi di pasta che prendiamo dallo scaffale del supermercato per le raccolte del Banco alimentare e che lasceremo alla cassa perché vengano consegnate a chi ha bisogno. Mentre le infiliamo nel carrello, pensiamo a come verranno usate, o a come le useremmo noi. Di solito, anzi, proprio quello facciamo: raddoppiamo la nostra spesa sperando che verrà gradita. Insomma, un pesce si può anche regalare, anche due o tre, senza sentirsi menefreghisti o “sciurette ipocrite”, che è quanto ci ha strillato una tipa nerboruta l’altra mattina vedendoci offrire una spesa sospesa fuori dalla chiesa di san Simpliciano a Milano, e seguendoci poi fino alla farmacia, senza smettere di sputarci addosso insulti, senza mascherina si intende, perché ce lo stampassimo bene in testa.
Il fatto è che di pesce in questi mesi c’è molto bisogno, e anche di pelati, di pesche, di mele, di patate, di latte, detersivi e spaghetti. Di questi ultimi, poi, c’è vera necessità e tutto lascia credere che le richieste aumenteranno ancora dopo le presunte e prossime vacanze. L’emergenza Covid che è iniziata con gran sfoggio di ironia sulle penne lisce che i ricchi arraffoni del caos pre-pandemico lasciavano sugli scaffali, povera pasta rea di non trattenere il sugo, va scemando sotto un aumento esponenziale della richiesta di buoni spesa da parte dei tanti, si parla di un milione di poveri in più fra piccoli artigiani e lavoratori impossibilitati allo smart working come per esempio i camerieri, che sono rimasti senza lavoro e senza tutele. Quando, all’inizio della pandemia, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo disse che si sarebbe dovuto pensare a un bonus di emergenza per i lavoratori in nero, perfino il popolo delle partite Iva, categoria bistrattata del sistema corporativo e pensionistico e tendenzialmente usa a cavarsela, aggrottò le sopracciglia. Evidentemente la ministra sapeva della reale diffusione dell’economia sommersa, e del suo apporto al famoso sistema, molto di più di quanto chiunque altro avesse mai sospettato o verificato, perché da due mesi non c’è associazione, fondazione o circolo caritatevole che, annullate per causa di forza maggiore le grandi cene per la raccolta di fondi destinati a iniziative certo meritevoli ma spesso lontane e difficili o talvolta astruse, non abbia convogliato invece tutte le risorse economiche possibili e messo a disposizione le braccia dei volontari nella raccolta e la distribuzione di alimenti e prodotti per l’igiene. A Milano, elenchiamo molto parzialmente, nel mese di aprile sono stati distribuiti quasi 13.500 buoni spesa da parte del comune e migliaia di sacchetti-pasti da parte del Banco alimentare Danilo Fossati onlus, che opera anche su Roma e Napoli, oltre a millecinquecento pacchi dalla onlus Progetto Arca; Mars Italia ha donato 500 mila pasti e oltre 20 mila snack. Con un mese di ritardo, certificato da un puntutissimo servizio di Striscia la Notizia dell’altra sera, paiono in consegna centinaia di pacchi del comune di Roma, in giacenza da tempo presso il Municipio XV, cioè a Tor di Quinto, fortino pentastellato: qualcuno ha già messo le mani sui pacchi di zucchero, trafugato biscotti lasciando però l’involucro, insomma si è servito del bene destinato ad altri, ma in un’emergenza di queste proporzioni e fra migliaia di volontari attivissimi, capaci e allegri come i ragazzi che, al Quarticciolo, distribuiscono settimanalmente viveri freschi ai dimenticati dei buoni spesa, si può contemplare anche una piccola dose di povertà morale. E’ anche per questo, cioè per evitare ogni piccolo sospetto sulla destinazione dei fondi, che nei giorni scorsi Lapo Elkann ha lasciato Lisbona, dove da qualche mese gestisce le operazioni di raccolta e distribuzione di aiuti alimentari fra Portogallo, Italia e altri paesi europei con la sua Laps Foundation, per far certificare da una società di revisione gli introiti degli ultimi mesi: sono più di un milione di euro e, dice, “anche chi ne dona uno solo”, dice, “ha il diritto di sapere dove finiscano”. Ultimamente, anche per lui che fino a oggi si è concentrato su progetti a favore dell’infanzia disagiata, sono andati tutti in alimentari.
Il cibo è gioia a prescindere, chi si offende per un orcio di olio o una cassa di spaghetti? Qualcuno, addirittura, li reclama
Dallo scoppio della pandemia la fondazione, istituita quattro anni fa, ha affiancato la Cruz Vermelha e la Croce Rossa nel supporto immediato alle famiglie in difficoltà. Di nuovo pane, pomodori, pasta, a tonnellate: “Appena scoppiata l’emergenza mi sono reso conto che avrei dovuto sospendere alcune attività per concentrarmi sul cibo. Mangiare è la prima cosa, chi ha perso il lavoro e ha magari una famiglia da mantenere deve provvedere subito, non può aspettare. Mi sono detto che avrei potuto far leva sul mio nome per velocizzare gli aiuti”. Mulino Bianco ha donato alla Croce Rossa un milione di colazioni; i cuochi della sua Garage Italia 500 piatti al banco di Solidando. In questi giorni, sta tornando a Napoli, città di ogni bellezza e di ogni sommerso, per due progetti specifici: una raccolta fondi sviluppata con Gianluca Isaia attraverso una collezione di tshirt “napulitane” a tiratura limitata (“1977 come il mio anno di nascita, e la scritta “Abbracciame”) e una seconda iniziativa, di durata triennale, a favore del recupero scolastico e sociale dei giovani di Scampia, con l’obiettivo di ridurne il tasso di recidiva nei comportamenti devianti. Non è la prima volta che “l’imprenditore della solidarietà”, come Lapo Elkann punta a trasformarsi in via definitiva, lavora nel quartiere simbolo della camorra: qualche anno fa organizzò una raccolta fondi per l’acquisto di un pulmino scolastico, indispensabile per tentare di limitare la dispersione scolastica.
Napoli gli piace, la sente vicina anche nella fragilità: da qualche settimana si è inventato perfino la consegna di pizze gratuite per il Rione Sanità grazie a un accordo con Ciro Oliva, pronipote di Concettina ai Tre Santi, la mitica ristoratrice della pizza fritta a credito di ogni fantasia e di ogni ispirazione cinematografica, il “Nè scetateve, venite a fà ‘a marenna Ccà se magna e nun se pava!” di Sophia Loren nell’Oro di Napoli. Le ha chiamate le “pizze del sorriso”, trovata di indispensabile marketing che condivide con Isaia, uno che organizza corsi di napoletano al Museo di Capodimonte perché sa che dire sartoria napoletana non basta, se chi compra una giacca o un completo non vi respira dentro il profumo del Golfo. La beneficenza discreta e un po’ dolente delle “dame del biscottino”, le D’Adda e le Archinto precorritrici di ogni volontariato che il Porta disprezzava, perché si “ostinavano a fare del bene e levare gli spedali invece di bestemmiare l’oppressore”, non ha più senso: per le sue iniziative, Elkann ha messo davanti all’obiettivo Cristiano Ronaldo, e chiunque di potente e famoso gli capiti a tiro. Con Isaia, contribuiscono alla consegna di spese fatte per il Rione, un’attività dall’inaspettato coté dandystico, visto che “Macaroni” era il soprannome che gli inglesi settecenteschi riservavano ai loro giovani compatrioti di rientro dal Grand Tour ormai preda di tutte le bellezze e di ogni stravaganza italiana, dalle parrucche altissime alle giacche strette fino alle abitudini alimentari stravaganti (la pasta, la pasta), da cui traevano il soprannome. E’ incredibile come il maccherone, quella pasta lunga e secca che chiamiamo spaghetto, attraversi la storia della solidarietà e dell’estetica umana, anche al netto di quell’altra sciocchezza sull’importazione dalla Cina grazie a Marco Polo che, in caso non lo sapeste, fu una trovata pubblicitaria della Keystone Macaroni Manufacturing Company di Lebanon, Pennsylvania, fondata nel 1914 dall’immigrato calabrese Girolamo Guerrisi (dovesse capitarvi fra le mani la leggenda del marinaio veneziano Spaghetti della ciurma di Marco Polo non fatevela sfuggire, però).
A Milano nel mese di aprile sono stati distribuiti quasi 13.500 buoni spesa del comune e migliaia di sacchetti-pasti delle associazioni
Non pasta corta né mozzarella, tanto meno di bufala con la ruchetta e l’aceto balsamico, che è una bestemmia totale della cucina e che infatti compare nei film burinissimi degli anni Ottanta, insieme col carpaccio; il cibo dell’affetto, nella vita come al cinema, è sempre maccherone. Talvolta panettone, certo, miracolo di ogni milanese anche acquisito, ma maccherone di più: fumante, intriso di sugo, sgocciolante olio. Un balsamo contro l’esterofilia (yes, il “mack-aa-rownee m’hai provocato” di Alberto Sordi), oppure e appunto il cibo della beneficenza e della gioia immediata, più goloso dei polli arrosto e dei pesci in bellavista, e in cui infilare bocca, naso e mani, voluttuosamente, come nella scena finale di Miseria e Nobiltà. Scriveva Gianni Rondolino qualche anno fa in un saggio per Barilla che in questa ultima ripresa si riassume tutta la straordinaria funzione drammaturgica della pasta nella storia del cinema italiano e la sua potenza simbolica: pasta vera, sugo di pomodoro, vapore che annebbia i commensali e che invia stimoli gustativi perfino a chi guarda all’interno di una messinscena che è invece assolutamente teatrale, con la scena fissa, la centralità del focus. Contro quei fondali di cartapesta, finti e grigi, su quei costumi stinti, quei volti pallidi, i maccheroni al sugo spiccano intensi e veri, una fonte di vita sulla quale la famiglia di Felice Sciosciammocca si butta azzuffandosi.
C’è sempre un che di umiliante, nel dono in denaro, fosse pure la mancia che non a caso tanti infilano pudicamente in una busta, da cui invece il passaggio di cibo è totalmente esente. Il cibo è gioia a prescindere, chi si offende per un orcio di olio o una cassa di spaghetti? Qualcuno, addirittura, li reclama, e neanche troppo scherzosamente. Chiedere cibo si può, anche se non è di cibo che si ha bisogno, ma di infinite altre cose, non tutte materiali. L’altra settimana, intervistata deliziosamente dal Foglio, Ginevra Elkann ha tenuto molto a specificare che anche a casa dei nonni Agnelli si mangiava, si mangiava bene e in abbondanza, altro che l’insalata scondita di quell’aneddoto di Sordi (il cibo è sempre aneddoto, soprattutto in Italia) che certamente no, non dovette affatto reclamare gli spaghetti a fine cena per placare i morsi della fame sua e degli altri ospiti. Il maccherone, lo spaghetto, sfugge a ogni dieta dimagrante e a qualunque imposizione. Mangiate un dolce e vi verrà rimproverato di sgarrare. Un piatto di pasta che sarà mai, la pasta può tutto, nemmeno fa ingrassare.
“Appena scoppiata l’emergenza mi sono reso conto che avrei dovuto sospendere alcune attività per concentrarmi sul cibo”, dice Lapo
C’è una foto, scattata nei primi anni Trenta, che mostra Filippo Tomaso Marinetti, l’uomo che tentò di abolirla da tutti i ricettari perché poco moderna e futurista, seduto a tavola mentre arrotola un numero imprecisato di fili di spaghetti, con la bocca semi-aperta. Sul retro della foto c’è la dedica: “E’ vano tentare di sfottermi! E’ liquidata la pasta dei cospiratori baresi”.