Camillo e Corrado nell'Italia del vino - 7
Il Renosu delle vigne vista mare e il Famoso che non conosce nessuno
Le Tenute Dettori in Sardegna e una bella sorpresa a Ferrara
Corrado, dopo essermi accapigliato coi fanatici della temperatura ambiente, ubriachi di rosso brulé (il bicchiere è bollente quando l’ambiente è rovente), in questi giorni ho subìto gli attacchi di chi si scandalizza per il ghiaccio nel vino: d’estate nei bianchi e nei rosa qualche cubetto mi piace metterlo, per raffreddarli, per svecchiarli, per sbalordire le plebi…
Camillo, anch’io amo il ghiaccio nel vino. Ti racconto cosa mi è accaduto l’altro giorno a Bosa dove siamo tornati per desiderio di malvasia. Dopo una visita alla cantina Columbu ci hanno portati da un certo Giovanni che fa una notevole pizza d’asporto, purtroppo senza un tavolino per mangiarla in santa pace. Ci siamo allora accomodati al bar di fianco, col timore che da bere avessero soltanto birra. Invece quando ho chiesto del vino rosso l’oste è corso in sala, ha aperto un grande frigorifero e ne ha cavato un bottiglione di sfuso locale così ghiacciato che sembrava appena arrivato dal Polo nord. “D’estate lo serviamo refrigerato”. Non sai che frescura e che goduria, Camillo. Ti garantisco che è andata proprio così.
Due volte a Bosa nel giro di pochi giorni? Vuoi proprio farmi sbadigliare, a me piace il motto “Paganini non ripete”. Sono un Don Giovanni enologico, cerco di non bere due volte di seguito lo stesso vino, ho un bisogno continuo, forse anche nevrotico, di novità, devo sempre scoprire nuove uve, nuovi territori. Adesso mi attira il Molise. Gli spiritosi dicono che il Molise non esiste ma ciò che davvero non esiste è la loro competenza vinicola, chiaramente non hanno mai bevuto il Tintilia rosa di Tenute Martarosa. E’ prodotta a Campomarino, la capitalina del vino molisano, da un vitigno pare di origine spagnola arrivato lì in epoca borbonica, al tempo dell’asse Napoli-Madrid. All’inizio lo chiamavo Tintilìa poi ho capito che si pronuncia Tintilia, come Emilia.
Camillo, a proposito di connessioni tra diverse culture, in questi giorni sto leggendo “Au Revoir”, il catalogo di Ettore Favini per la sua mostra al Musée d’Art Contemporain de Nîmes, il correttore automatico scrive Denim e ha ragione, il lavoro prende le mosse dalla diffusione dei tessuti nel Mediterraneo e dunque del jeans proprio dalla città francese, ben prima che Levi Strauss lo brevettasse e insegue le vie del fustagno genovese nei nostri mari. Non sapevo che Anassimandro, nella prima mappa conosciuta del mare interno, non avesse disegnato la Sardegna, il blu è dappertutto e a guardarla mi è venuta una vertigine abissale, forse perché mi trovavo alle Tenute Dettori dove le vigne guardano il mare e allora finalmente ho capito perché il suo Renosu ha questo profumo marino che non mi sapevo proprio spiegare.
Quella di Favini è un’arte che abbisogna di catalogo, di spiegazione. Ho avuto fasi più cerebrali ma oggi preferisco quadri e vini godibili senza molta esegesi. Mi piace bere bottiglie di cui non so assolutamente nulla, di vitigni e produttori ignoti, e vedere l’effetto che fa. L’ultima bella sorpresa l’ho avuta al Brindisi di Ferrara dove mi hanno servito il Famoso di Fred, cantina Randi, Fusignano, il paese di Arcangelo Corelli. Forse è il primo bianco romagnolo che mi abbia soddisfatto pienamente. E’ un rifermentato in bottiglia da uve Famoso, nome abbastanza buffo per un vitigno che non conosce nessuno. Però quando lo assaggi non ha bisogno di spiegazioni ed è facile anche da aprire, ha il tappo a corona.
Antisemitismo e fornelli