Quando la cucina italiana diventò tradizionale
Fu verso la fine dell'Ottocento che ciò che ora chiamiamo piatti tradizionali vennero selezionati e "istituzionalizzati" per la prima volta. Il merito fu soprattutto di Pellegrino Artusi e del principe Paolo Borghese (di cui oggi ricorre il centenario dalla morte)
Quando si erano incontrati per la prima volta si erano guardati con sospetto. Un po’ perché erano stati presentati entrambi come grandi esperti di cucina, un po’ perché i soldi non potevano cancellare le origini e la modernità aveva avvicinato più del dovuto la ricca borghesia all’aristocrazia.
Di ciò però al marchese e alla marchesa Pucci sembrava interessare poco. Era tutto un quanto è simpatico e di buon carattere, quanto è gentile e di intelletto fine e poi dovresti proprio vedere che sete che ha, le migliori di tutta Firenze e che gusto e che bravura e ricercatezza che ha a tavola. Aveva sempre ignorato tutto ciò, poi un giorno gli dissero che era anche un gran cuoco e cultore sopraffino della cucina. Fu quello a dargli noia a tal punto da accettare un invito a colazione. Poteva un popolano, come lui chiamava gli arricchiti dal commercio, essere un cultore della cucina? Assolutamente no.
Fu per questo che il principe di Sulmona Paolo Borghese si recò a Firenze. Voleva tanare il millantatore. Non che lui fosse prevenuto contro i popolani. Aveva girato mezza Italia alla ricerca del meglio della cucina dell’Italia che era diventata da poco unita. Aveva mangiato in taverne popolane e ristoranti pregiati, aveva chiacchierato con osti e con cuochi di fama, gente che tutte le grandi famiglie avrebbero voluto al loro servizio, ma che molte volte erano state rifiutate per quella strana e moderna usanza che spingeva le persone a preferire mangiare in locali pubblici alle proprie stanze.
Usanza che anche i suoi nobili amici avevano abbracciato e con gusto.
Fu in un salone del centro di Firenze che incontrò per la prima volta quel distinto uomo barbuto, affabile e di facile lingua, capace con scioltezza di dialogare con qualsiasi persona. Tipico dei commercianti, pensò. La sua diffidenza però in poco tempo divenne curiosità e poi sincera simpatia. Avevano ragione i marchesi Pucci, quell’uomo, quel Pellegrino Artusi era davvero un cultore sopraffino della cucina. Eccelleva nelle regionalità romagnole e toscane, ma se la cavava bene anche nel discorrere di pietanze che provenivano da tutto lo stivale.
Lo stupore fu ancor maggiore quando si confidarono di essere alle prese con lo stesso progetto: un volume che contenesse quanto di meglio le cucine italiane potessero offrire. E dato che i loro due sforzi non si sovrapponevano, ma erano perfettamente compatibili decisero che era il caso di tenersi aggiornati, di non perdersi di vista.
Più di una volta battibeccarono, si trovarono in disaccordo. Che per l’Artusi la cucina italiana era un’esplosione di diversità, di modi diversi di rapportarsi al cibo, di punti di vista sulle pietanze a volte inconciliabili. A tutto ciò lui mica credeva, ché la cucina italiana era soprattutto unitaria, unico filo d’unione di un territorio che la storia aveva diviso in mille staterelli. Pellegrino Artusi gli scrisse che la sua nobiltà a volte gli faceva travisare la realtà e il buon senso. Lui gli rispose che il suo essere popolano gli imburrava lo sguardo sino a renderlo incapace di discernere tra ciò che era e ciò che non era cibo. Ma erano screzi tra amanti, cose di nullo valore. I due continuarono a scriversi, a litigare stimandosi.
“Ricette per cucina raccolte dal principe don Paolo Borghese” fu il primo libro che raccolse l’Italia della cucina. Precedette solo di qualche anno “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi. Il libro di Borghese, di cui oggi ricorre il centenario dalla morte, ebbe un immediato successo, poi venne dimenticato, al contrario di quanto accadde con quello dell’Artusi. Nel 2008 il volume di Paolo Borghese venne ristampato dalla Maria Pacini Fazzi Editore in Lucca, curato da Donna Francesca Centurione Scotto che ritrovò l’opera nell’archivio di famiglia: “Un magnifico specchio della sua personalità, della sua ironia, del suo grande amore per la convivialità”, disse nella presentazione che fece nel 2008 nella boutique di Salvatore Ferragamo a Mayfair al 24 di Old Bond Street.
Pellegrino Artusi pubblicò quindici edizioni del suo libro, a Paolo Borghese ne bastò una. Doveva essere un ricettario per tramandare ai suoi familiari il meglio della cucina che aveva sperimentato, una mescolanza di ricette popolari e di alta cucina nobiliare che, assieme al lavoro dell’Artusi, ancora oggi sono la base, a volte sconosciuta, di quella che noi chiamiamo cucina tradizionale, che altro non è che un amalgama di fine ottocento del meglio che le cucine italiane offrivano.
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