La carbonara va mangiata, indipendentemente dalla "tradizione"

Giovanni Battistuzzi

Il 6 aprile è il Carbonara day. L'annosa lotta dei puristi della ricetta tradizionale (che quasi mai c'è) contro il naturale cambiamento della cucina. Anche e soprattutto italiana

La cucina tradizionale italiana è un po' meno storica di quello che si può pensare. Le prime classificazioni risalgono alla metà dell'Ottocento, quando alcuni rampolli della buona borghesia e dell'aristocrazia italiana si sono messi di buona volontà a raggruppare e classificare ciò che all'epoca veniva servito sulle loro tavole, fossero queste domestiche o di trattorie e ristoranti. È una tradizione "di medio e alto rango, basata sulle abitudine di chi poteva scegliere cosa mangiare. Il resto era cucina di sussistenza. Quello che c'era veniva rielaborato e servito", disse a Radio 3 il grande chef Gualtiero Marchesi nel 2013 commentando una delle tante polemiche su cos'era tradizionale e cosa non era tradizionale nella cucina milanese. "Tendo sempre a sorridere quando qualcuno si definisce 'purista' quando parla di tradizione culinaria. La cucina è sempre stata contaminazione, risalire alle origini di un piatto è sempre qualcosa di difficile".

  

Il purismo è qualcosa che si riaffaccia, da cinque anni a questa parte, ogni 6 aprile, il giorno del Carbonara day. I puristi dicono che la carbonara sia una ricetta che debba prevedere solo quattro ingredienti oltre la pasta: pecorino, guanciale, pepe, uovo. E deve prevedere solo questi quattro elementi perché rientra all'interno di una tradizione culinaria come quella romana che gira spesso attorno a quei prodotti. Convinzione di molti è che la carbonara fosse piatto popolano di lungo corso, mangiato dai carbonari e che per questo rientri all'interno delle variazioni sul tema cacio-guanciale, come cacioepepe, amatriciana, gricia. Potrebbe essere, ma non ci sono prove storiche. Come potrebbe essere che la carbonara sia stata invenzione d'emergenza in tempo di guerra dopo l'arrivo degli americani a Roma e la distribuzione di eggs and bacon alla popolazione. Quello che è certo è che la carbonara appare nei ricettari solo dopo la guerra.

 

La pasta cacio e ovo si poteva mangiare già prima della guerra sia a Roma che in Molise e in Campania già prima della guerra. La frittata di pasta in pratica in tutto il sud. L'ovo fritto col guanciale era un piatto di cui il Belli era particolarmente ghiotto e che Trilussa ha ricordato più volte con gusto. Di timballi di pasta con uovo, parmigiano e pancetta, molto spesso accompagnati dai radicchietti di campo, se ne mangiavano già nell'Ottocento nel modenese. Le ricette sono centinaia, tanto che Alfredo Oriani ne mangiò "di ottimo per testa e budelle" in una "trattoriola for di Vignola ma di poco, alla curva del Panaro".

  

  

Mettere insieme uova e guanciale o pancetta, con una grattata di formaggio è usanza antica, riprodotta un po' ovunque. Cercare l'origine di tutto ciò è sfida impossibile. La carbonara c'è perché non poteva non esserci. Non va difesa, va mangiata, indipendentemente dalla Carbonara day. Provare a celebrare un piatto considerandolo immutabile, cercando una forma pura, quindi primigenia, è qualcosa che in cucina lascia il tempo che trova.

  

Certo esistono marchi e associazioni di tutela di diversi piatti, nati con il nobile intentento di salvaguardare la memoria e la rispettabilità di un piatto nel paese d'origine e soprattutto all'estero. Ma fissare paletti in cucina è sempre rischioso e rischia di essere antistorico. La cucina, in Italia e altrove, è sempre stata un adattamento al gusto di un periodo di ciò che la terra, il commercio e l'inventiva umana metteva a disposizione. "Si mangiava ciò che c'era, ciò che non c'era lo si inventava. Poi è arrivato il benessere e con esso la necessità di trovare una nuova cucina che si potesse adattare ai tempi", ha scritto Michel Guérard, prima chef poi critico gastronomico tra i fondatori della Nouvelle cuisine francese. "Faccio questo da anni, ma mica per invenzione mia. Cucinare vuol dire vivere in un contesto sociale. La cucina non può non risentire di questo".

 

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