Cucina vegana? No, grazie. Lo chef licenziato a Londra
Daniel Humm voleva imporre solo cibo vegetale nel menù del Claridge’s, il leggendario albergo londinese tanto caro a Winston Churchill. I proprietari però hanno preferito rinunciare al suo apporto ideologico, più che gastronomico
Se continui a chiamarli chef, ossia capi, poi non devi stupirti che i cuochi vogliano comandare. Ai padroni dei ristoranti, ai clienti, perfino al clima e quest’ultima non è un’esagerazione visto che il cuoco svizzero-tedesco Daniel Humm, invitato non ho capito perché alla Cop26 di Glasgow, ha dichiarato, nel mentre si parlava di riscaldamento globale, che il cibo vegetale renderà migliore il pianeta. Non l’elasticità cutanea o, che so, il transito intestinale: il pianeta! Come se la soia potesse fermare il sole… La tracotanza di Humm mi ha ricordato quella del re di Persia che fece fustigare il mare per costringerlo a calmarsi e a farsi attraversare dalle sue truppe: come se le fruste potessero fermare le onde… Superstizioni orientali, pensiero magico che oggi invade la mente defedata dell’occidente. Ora a Londra si registra una piccola reazione che ha visto protagonista, o finta vittima, proprio Humm. Costui nel ristorante del Claridge’s a lui affidato voleva imporre un menù tutto vegano, solo vegano, nient’altro che vegano, e così la proprietà del leggendario albergo ha dovuto rinunciare al suo ideologico, più che gastronomico, apporto. Insomma licenziato. Con un comunicato in verità assai blando, forse per non urtare le mille sensibilità dei milioni di permalosi che nell’agone digitale decidono chi deve salvarsi e chi affogare, melliflue parole in cui gli si augura che, altrove, abbia successo sulla base della “nuova audace visione”. Ovviamente la visione di Humm non contiene nessuna novità e nessunissima audacia: il vegetarianesimo è vecchio quanto Pitagora, il veganesimo è più recente (solo a sazi benestanti del secondo Novecento poteva venire in mente di rinunciare anche a latte e uova) ma sta imperversando e mettendo all’angolo noi onnivori. È la dieta prescritta dalla nuova religione ambientale, il grande imbroglio che va da Greta a Papa Bergoglio.
Oggi i veri audaci sono coloro che servono cervella di vitello fritte (Osteria Fratelli Pavesi, Podenzano, Piacenza), finanziera con le creste di gallo (Da Bardon, San Marzano Oliveto, Asti), torresan ossia colombino di nido (La Cusineta, Breganze, Vicenza), porceddu allo spiedo (Casale Mariposa, Basilicanova, Parma), piedini di maiale con peperoncino (Trattoria Da Bassano, Madignano, Cremona)… Sono loro il dito nella diga, il kathécon, il sostegno alla posizione apicale che Dio ha voluto per l’uomo al termine della Creazione. Servitori dell’umano e perciò senza boria: mai nella vita Bassano Vailati ha parlato di sé stesso come “chef”, l’altro giorno a Madignano stava per definirsi “cuoco” poi ha avuto come un soprassalto di modestia e ha detto “uno che cucina”, volevo abbracciarlo. Amo i ristoratori che vogliono ristorare e non moralizzare. Non gli stellati prepotenti che intimano il menù degustazione. Non Pietro Leemann, titolare dell’antifrastico ristorante Joia, che voleva impedire al collega onnivorista René Redzepi di servire cervello fritto di germano reale servito nella testa del medesimo. Non Humm che nel menù del Claridge’s più che aggiungere una nuova opportunità, sempre benvenuta, intendeva abolire una libertà: quella di mangiare proteine animali. Per giunta nell’albergo caro a Winston Churchill che a colazione (prima colazione) voleva una pernice arrosto. E qui si capisce come il veganesimo sia una faccia della dilagante cancellazione culturale, un grande rogo di libri di ricette. Nemico anche della verità, il cuoco svizzero autonominatosi guardiano dell’ortoressia: adesso nel suo ristorante di New York (pensavate rimanesse disoccupato?) serve caviale vegano, contraddizione ossia menzogna in termini.