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Sfaccettature rosa

Questa è l'estate del vino fluido

Camillo Langone

L'ultima trincea della rigidità binaria sembra essere la domanda bieca: "Bianco o rosso?". Eppure, esistono anche i rosati (non solo del sud) che raffreddano l'ugola e indignano i bigotti dell'ordinario

"Bianco o rosso?”. Una domanda ancora più bieca di “Etero o omo?”. Possibile che nella stagione della fluidità il vino sia l’ultima trincea della rigidità binaria? Proprio il vino che è la bevanda più sfaccettata che ci sia, con centinaia di vitigni, denominazioni, tradizioni, e vinificazioni le più diverse? “Bianco o rosso?” mi chiedono nella vineria di Udine e potrei non specificare la città perché la stessa domanda viene formulata ovunque e però la specifico perché il Friuli mi sembra fra le regioni vinicole italiane la più ferma, la più inchiodata agli stilemi enologici anni Novanta. Sonnolenza, per non dire letargia. Sono convintissimi di produrre grandi bianchi quassù e la cosa non mi turba, io mi credo di essere Arbasino più Ceronetti più Dorfles (per restare in zona), è giusto autoposizionarsi, autolodarsi, la critica è morta e frate Modesto non fu mai priore, ed è bello credere di trovarsi nel 1992, erano vivi Lucio Battisti, Lucio Dalla e David Bowie, che tempi. “Bianco o rosso?” con questo caldo significa bianco, ovvio, e allora più che dualismo è monocultura, monotonia, monomania… In vineria e pure in bottiglieria perché a Udine mi sono mosso parecchio, sotto il sole cocente sono uscito di casa a caccia di negozi e ho trovato posti da dimenticare e posti dove forse tornare, però in inverno, tipo l’enoteca in cui ho chiesto dove si nascondessero i vini rosa e l’esercente giovane e piacente ha risposto indicandomi un punto lontanissimo, alla fine della scaffalatura chilometrica, laggiù, e infine ho notato, solitario fra i bianchi e i rossi, il Five Roses Leone De Castris. Un buon rosa pugliese per giunta superstorico ma l’amico lettore conosce il mio patriottismo innanzitutto linguistico e l’antipatia per il km 1.000: fra Udine e Salice Salentino non c’era altro?

 

Domanda retorica: fra Udine e Salice Salentino tanto per cominciare ci sono i rosa veneti di Firmino Miotti e di Giovanni Gregoletto, e il Raboseo di Asja Rigato. Fra Udine e Salice Salentino si può godere, con modesta deviazione, del Bardolino Chiaretto e del Chiaretto del Garda, bevuto pochi giorni dopo a Gardone Riviera insieme al grande giornalista culturale Luigi Mascheroni e al grande giallista magari culturale anche lui ma non lo so (sono letteratura i gialli?) Gianni Biondillo, poi sono giunti l’architetto Italo Rota e l’architetta del suo studio Francesca Grassi munita di anello con corniola, imperdibile photo opportunity.

Le ho chiesto di stringere il calice che avevo precedentemente riempito di ghiaccio, per raffreddare l’ugola e indignare i bigotti del vino binario, ed ecco servita la didascalia: “Diamante, ghiaccio, anello di corniola rosa, vino rosa del Garda. Chiaretto del Garda Bresciano Diamante, Comincioli, Puegnago del Garda”. Grande momento reale. Infine un grande momento ideale, Elisa Dilavanzo, la dea dell’azienda Maeli che mi scrive del suo Dilante, rosa da varietà segrete quali Corbina, Corbinella, Marzemina Bianca, Marzemina Bastarda… “Al naso emergono profumi di lampone e fragoline, in bocca spiazza per la bella acidità, con quella vena amaricante che ricorda il rabarbaro. Lo apprezzo molto sull’ostrica rosa del Delta del Po”. Ostrica rosa? Molto fluida e di quel fluido edonistico che piace a me.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).