L'estate del vino fluido/ 3
Elogio dei frizzanti romagnoli, dall'anima poetica e non castrata come i “pool wine”
Non si può sentire "frizzantino": è degradante e ignorante. Il romanticismo dei vini frizzanti rifermentati in bottiglia, del tutto diversi dai rosa fermi corti e sbiaditi, che possono andar bene giusto a bordo piscina
Uno dice frizzantino e io mi innervosisco molto. Mi innervosisco facilmente, è vero, ma frizzantino non si può sentire, è degradante, ignorante, intollerabile per chi come me si è dato la missione di spezzare l’ottuso dualismo vino fermo / vino spumante con la vivacità del vino frizzante, senza diminutivo perché una diminuzione la meritano semmai il fermo (nel bicchiere e in bocca qualcosa di statico, spento) e il metodo classico, vino al quale sono stati sottratti i lieviti e dunque vino mutilato, castrato. Io sono per il metodo romantico, come ho deciso di chiamare i frizzanti rifermentati in bottiglia (anche detti “ancestrali” o “col fondo”). Perché la rifermentazione in bottiglia risale all’Ottocento, secolo romantico per eccellenza, ma soprattutto perché conduce a vini più espressivi, più artigianali, più territoriali, più poetici: pertanto romantici.
Mi sa che devo fare qualche nome. Il primo è quello di Stefano Berti: il suo Rossetto è stato il primo Sangiovese rifermentato, frizzante, che abbia bevuto. Credo anche il primo Sangiovese rifermentato che un produttore abbia mai pensato di produrre… Sangiovese significa Romagna, una regione enologicamente sfortunata siccome turistica e di un turistico costiero e piscivoro che del classico Sangiovese fermo non sa che farsene. A risolvere il problema ci pensa il Rossetto che fra l’altro è rosa e dunque sembra fatto apposta per questa estate fluida. Sulla disinvoltura insita nella tipologia mi fa riflettere Olivia Maggioli della Tenuta Saiano, produttrice a Montebello di Torriana (vista San Marino e vista mare) di un rifermentato rosa dal nome controintuitivo, Rude: “Il successo di questi vini è dovuto anche alla loro forte polivalenza. Per polivalenza intendo la loro capacità di stupire, di essere diversi e dinamici, di cambiare e perciò di adattarsi a contesti e momenti gastronomici diversi”. Ecco, i cosiddetti “pool wine” ossia i rosa fermi corti e sbiaditi, color cipollina o color confetto, possono andar bene giusto a bordo piscina, insieme a tartine di salmone allevato, mentre invece i rosa rifermentati sono vini vivi che non temono abbinamenti. Che poi in Romagna non c’è soltanto il Sangiovese, mi sono distratto un momento e sono spuntati non so quanti rifermentati bianchi. Mi corre l’obbligo di citare l’Animo (a base di uva grechetto gentile che qui si chiama Rebola), sempre della Tenuta Saiano, e poi il Famoso (dall’omonimo vitigno famoso di nome ma non ancora di fatto) dell’azienda agricola Randi, e poi l’Indigeno (da trebbiano romagnolo) di Ancarani, e poi l’Area 18 di Menta e Rosmarino Vini, un uvaggio trebbiano+albana+moscato che ho bevuto al Mercato coperto di Ravenna, insieme a Leonardo Spadoni e al formidabile prosciutto di mora romagnola di Casa Spadoni… A questo punto l’amico lettore è autorizzato a chiedermi del perché tanto parlare di frizzanti romagnoli e nessun parlare di frizzanti emiliani.
Rispondo subito: perché di Lambrusco ho scritto tanto e a Dio piacendo ne scriverò ancora parecchio, perché il Lambrusco è un universo mondo, vasto e complicato, che dentro un articolo mi risulta difficile comprimere (ci vorrebbe un libro) e perché, infine, la Romagna è una cosa e l’Emilia un’altra cosa: nel bicchiere ci vuole più fluidità, nella geostoria ce ne vuole meno, le identità delle due regioni sono state confuse dalla politica, eccomi qui a ristabilir confini.