La crociata sovranista sul cibo è un danno per l'occupazione e l'ambiente
Contro la carne sintetica, ma sarebbe giusto definire coltivata sta prevalendo la propaganda al ragionamento. E così per "difendere" la bistecca italiana, che italiana non è per niente, (visto che il 50 per cento del fabbisogno viene soddisfatto da carni di importazione) sta facendo perdere al paese una grande possibilità
E’ quando scatta la propaganda al posto del ragionamento che cominciano i guai di questo governo. Un buon esempio è la storia della carne cosiddetta “sintetica”, ma che sarebbe giusto definire meglio: coltivata. Si parte dalle naturali cellule staminali dell’animale, le si tiene al caldo e le si nutre con quello che serve: acqua, carboidrati, proteine, aminoacidi, vitamine e zuccheri. Gli stessi alimenti che un animale assorbe durante la sua vita. Però senza farmaci e antibiotici. Le cellule si moltiplicano e producono l’equivalente organolettico della carne. Non c’è niente di sintetico, ma la riproduzione in laboratorio di una processo naturale. Buona? Cattiva? Vedremo.
Intanto le autorità statunitensi hanno dato il via libera alla commercializzazione escludendo che ci siano rischi per la salute umana. Vedremo che cosa deciderà l’Unione europea. Ma intanto vale la pena esaminare gli argomenti usati dal Consiglio dei ministri, due giorni fa, per emanare una legge che ne vieta la produzione in Italia. Il compito è facilitato dalla slide presentata in conferenza stampa. Un insieme di luoghi comuni e bugie difficilmente collezionabili in un colpo solo. Il cibo “sintetico”, si dice molto autorevolmente, porta più ingiustizia sociale, più disoccupazione, più rischi per l’ambiente e ovviamente per la diversità. La Coldiretti, sempre in prima linea nelle battaglie di retroguardia, applaude alla difesa della bistecca italiana. Che italiana non è per niente, però, visto che il 50 per cento del fabbisogno alimentare dei carnivori italiani, come Coldiretti sa, viene soddisfatto da carni di importazione. Carni che arrivano dal Brasile, dall’Argentina, dalla Danimarca. Perché gli allevamenti in Italia o sono intensivi, con tutte le critiche del caso, o rappresentano un‘attività di nicchia se comparati con quelli di paesi che hanno a disposizione milioni di ettari di pascolo. Ma soprattutto, dato fondamentale, nessuna di quelle affermazioni ha nulla di lontanamente vicino al vero.
Se il metodo, come pare, funziona, e se saranno confermate le analisi di non nocività, si potrebbe aprire una sorgente di proteine in quantità teoricamente illimitate che potrebbe dare una bella mano a sfamare il mondo. Che ne ha un grande bisogno. Dal punto di vista ambientale poi non c’è paragone. La carne coltivata in laboratorio abbatte le emissioni di CO2 provocate dagli allevamenti animali, secondo la Fao pari a ben il 15 per cento delle emissioni totali, di più del 90 per cento. Per non parlare dei milioni di ettari di foresta messi a fuoco o estirpati in tutto il mondo per creare pascoli per mandrie sempre più grandi.
Quanto all’occupazione, l’industria alimentare italiana è soprattutto un’industria di trasformazione nella quale eccelliamo anche laddove manchiamo di materie prime sufficienti. E’ il caso, per esempio, dell’olio e del grano, settori all’interno dei quali importiamo materia prime che lavoriamo ed esportiamo con marchi italiani. Si sta quindi decidendo che l’industria alimentare italiana deve stare alla larga da un settore il cui fatturato prospettico è stimato in miliardi. Lasciamo da parte poi gli argomenti relativi alle condizioni non proprio idilliache in cui vivono gli animali da allevamento e la furia degli animalisti che pure qualche argomento dalla loro ce lo hanno, visto che non sarebbe più strettamente necessario macellare tutto e di più.
Non si capisce poi perché i due settori, quello tradizionale e quello derivante dalle nuove ricerche, debbano essere messi in contrapposizione. Come se non ci fosse spazio per tutti. Gli amanti della bistecca al sangue e magari in futuro quelli della bistecca coltivata. Anzi, se si ritiene che la carne italiana abbia un valore gastronomico superiore, tanto di guadagnato nella comparazione con un prodotto più “seriale. Sceglierà il consumatore. Ma proprio questo pare dare fastidio. La “sovranità alimentare”, un concetto sbagliato alla radice perché impossibile, aveva bisogno del suo totem e lo ha trovato. La destra sociale si incontra così con il chilometro zero della sinistra modaiola: cosa dovete mangiare lo decidiamo noi.