made in italy
La pizzeria da Michele di Napoli sfida Pizza Hut: arriva la margherita surgelata
Gli storici artigiani della pizza fanno il salto su un nuovo mercato. Dopo tre anni di ricerche e test con il celebre pizzaiolo Antonio Falco, il gruppo Roncadin porta nei supermercati l'antica ricetta napoletana
I puristi forse si scandalizzeranno, ma invece si può considerare una buona notizia: la storica pizza di “Michele” a Napoli arriva nei supermercati in versione surgelata e a produrla sarà il gruppo Roncadin. Praticamente, si potrà trovare al banco frigo quella che nel mondo è considerata una sorta di pizza sacra, come testimoniano le interminabili file che da sempre si fanno per conquistare un tavolo da Michele ai Tribunali. Ma le attività economiche devono pur poter crescere e se una famiglia di storici artigiani della pizza come quella dei Condurro (dal 1870) prova a sviluppare il business non è da biasimare ma da apprezzare, a patto che anche nel prodotto surgelato si possano ritrovare almeno in parte gusto, consistenza e sapori che hanno reso famosa l’antica pizzeria in tutto il mondo. Le premesse sembrano esserci: “Dal periodo della pandemia ci siamo a lungo interrogati su come rendere eterna la nostra pizza", ha spiegato Alessandro Condurro, che è amministratore delegato de l’Antica Pizzeria Da Michele in the world. "Da questo pensiero è nata l’idea del prodotto frozen, ma non uno qualsiasi, la nostra pizza, di cui garantiamo la migliore qualità possibile rispetto al tipo di supporto”, ha aggiunto. E Dario Roncadin – a capo del gruppo che produce 100 milioni di pizze surgelate all'anno, con 155 milioni di fatturato e 750 dipendenti – sottolinea che sono stati necessari tre anni di ricerche, test e sperimentazioni gomito a gomito con il celebre pizzaiolo dell’Antica Pizzeria, Antonio Falco, prima di trovare la formula perfetta per rendere adatta alla surgelazione la ricetta originale della margherita, compreso il packaging studiato per ricordare quello classico delle pizzerie e per dare la possibilità di gustarvi direttamente la pizza, ovviamente dopo averla cucinata in forno.
Per essere una sfida lo è senz’altro ed è anche rischiosa, come sempre accade quando si trasforma un prodotto con una forte identità artigianale (il punto di forza della pizza di Michele è che è rimasta inalterata in 150 anni) in uno industriale: se qualcosa dovesse andare storto si accorcerebbero anche le fila davanti alla storica pizzeria dei Tribunali. Ma è anche vero che tecnologie moderne e nuovi materiali ecologici consentono oggi ai prodotti surgelati di avvicinarsi davvero tanto a quelli freschi e non è detto che il “miracolo” della pizza di Michele in serie e diffusa in tutto il globo non possa avvenire. Del resto, il processo produttivo, rispetto ad altri beni di consumo molto più complessi, prevede solo cinque ingredienti per l’impasto (pomodoro e mozzarella dovrebbero essere gli stessi di quelli usati in pizzeria), anche se il procedimento prevede 24 ore di lievitazione, farcitura a mano a cottura in forno a legna su pietra lavica dell’Etna. Da 150 anni la pizza di Michele si fa così ai Tribunali, ma anche nelle 38 sedi che la Michele in The World ha aperto in altrettante città italiane e del mondo, comprese Londra, Amsterdam, Tokyo, Dubai, Los Angeles, Riyad, Geddah, solo per citarne alcune. La sfida di Michele è servita e se sul mercato arriva un concorrente italiano di Pizza Hut, la catena statunitense che nei fatti fa mangiare la pizza in tutto il mondo, non si può che essere contenti.
Antisemitismo e fornelli