Pane & TikTok. La rivincita dei lievitati viaggia sui social
La coda chilometrica, poi la foto con il gastronomo star. A Milano, l’inaugurazione di “Con mollica o senza?” sospesa per la troppa folla. Il boom dell’“Antico vinaio” in America. La brioche cubica della Farmacia del Cambio e la disputa con gli svedesi sulla sua paternità
Grande folla in piazza Diaz a Milano il 6 ottobre scorso. Giovani e giovanissimi stipati sotto i portici. Perché? Vendita di scarpe di Michael Jordan in edizione limitata? Biglietti per Taylor Swift? Nuovo iPhone scontato? Bandiere palestinesi in saldo? No. Niente di così sofisticato. Semplicemente aveva aperto un nuovo paninaro. Ma non un paninaro qualsiasi, uno famoso, ma famoso davvero, cioè su TikTok. E magari ci si scatta pure il selfie. Il locale si chiama Donato – Con mollica o senza? E nasce dopo che Donato De Caprio, napoletano, è diventato famoso filmando i panini che prepara sul bancone del bar. Si è messo in proprio ed è arrivato anche nella nuova capitale del “food”, come si dice qui. Dopo una mezz’ora di folla che continua a crescere, per motivi di ordine pubblico la polizia è costretta a sospendere l’evento e l’inaugurazione del paninaro famoso. La piazza e la strada sono bloccate e si rischiano problemi per la sicurezza. “Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l’era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere”, scriveva qualche secolo prima il Manzoni. Renzo, vicino al Duomo, è in mezzo alla rivolta del pane. Stessa folla, un po’ meno violenza, ma sufficientemente numerosa da coinvolgere i vigili. “Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera”, dice il capitano degli alabardieri che cerca di mantenere il controllo spagnolo nel novembre del 1628. Nel 2023 invece nessun malessere sociale legato al prezzo del pane, solo Donato De Caprio che vende panini. Dopo aver lavorato per vent’anni in una gastronomia ha iniziato a filmarsi mentre infilava gli ingredienti, provole e salami, tra le fette di pane, e su TikTok ha superato i 4 milioni di follower (Emmanuel Macron ne ha 2,9, Giorgia Meloni 1,4).
A Milano, l’inaugurazione del locale di Donato De Caprio è stata sospesa: troppa folla. “Con mollica o senza?” è il suo slogan
Ci sarà qualcosa di speciale in questi panini? Ci si chiede, vista la viralità. Gli ingredienti esclusivi sono gli stessi che da anni hanno trasformato la pizza da cena al volo a parodia dell’alta cucina: l’immancabile granella di pistacchio, burrate e stracciatelle e bufale senza limiti, olio al tartufo, mandorle e pomodori secchi. Ma anche taralli sbriciolati. Quindi ciò che lo rende diverso da un panino di una qualsiasi gastronomia (del sud) è la fama, e il refrain che ha reso celebre Donato: “Con mollica o senza?”. Tirannia della scelta la chiamava Renata Salecl, la sociologa del Birkbeck College. Ma ci sono anche gli elementi di un colorato marketing cerchiobottista e magnificamente napoletano: c’è il panino tutto azzurro per il Napoli e quello per Maradona, quello rosso portafortuna presentato citando Eduardo, quello per gli studenti sotto esame, quello per la fame “schimica”, quando “esci dal locale alle 5 del mattino”. Il nuovo panino speciale per Milano è composto da: salame milanese, crema di parmigiano reggiano e “la fantastica mozzarella di bufala”. Col nuovo negozio, diceva Donato invitando all’inaugurazione, “possiamo soddisfare tutti i milanesi e tutto il nord Italia”.
Dopo il rinascimento della pizza, si pensava che il mondo cadesse nella trappola di poké e super food, che però nulla hanno potuto contro i panini
Quella di Donato è solo una briciola della montagna di carboidrati da cui è sommerso il mondo della ristorazione. Dopo il grande rinascimento della pizza, esploso grazie a lunghe descrizioni altisonanti nei menu con precisa origine degli ingredienti – e grazie ai prodotti di cui sopra (pistacchio, stracciatella…) – si pensava che il mondo cadesse nella trappola del poké e del super food, degli avocado e del bubble tea. E invece le ciotole di quinoa, riso e salmone, pur restando a galla nella pausa pranzo della Los Angeles d’Italia, non possono nulla contro il caro vecchio lievitato. Va considerata la complicità dei farinacei durante lockdown. Col Covid la panificazione è stato l’hobby più gettonato, tanto che, come raccontavano i TG con servizi d’inchiesta, non si trovava più farina nei supermercati. Allarme, come quello della carta igienica in America. Quanti poveri partner si sono dovuti sorbire settimane di tentativi prima di poter spalmare la marmellata su qualcosa di commestibile mentre Giuseppe Conte faceva il bollettino quotidiano. Donato e i suoi panini sono solo un sintomo di questa rivoluzione anti celiaci che va avanti da un po’ e che, come direbbero alcuni giornali, “ha conquistato il web”.
Il boom dell’“Antico vinaio” a New York e Los Angeles, la brioche cubica della Farmacia del Cambio e la disputa con gli svedesi sulla sua paternità
All’Antico Vinaio è un altro caso, eccellenza imprenditoriale della ristorazione, da bottega a catena mondiale nel giro di pochi anni grazie alla schiacciata fumante. “Bada come la fuma!” dice il titolare nei contenuti social, Tommaso Mazzanti, cappellini post-hipster da camionista, accento fiorentinissimo. Prima varie location in via dei Neri, Uffizi, zona ad alta densità turistica: Mazzanti usando uno dei trick della ristorazione contemporanea – l’iperspecificità del locale, a Milano per dire ci sono le cheesecakerie – da semplice rosticceria l’ha trasformata in “schiacciateria”. Nel 2019 apre a New York con un pop up ospitato da Joe Bastianich e vende 400 panini in tre ore. E dopo New York, Los Angeles, e anche Milano. Anche qui zona Duomo, zona rivolta del pane dei Promessi Sposi. Panini, anche qui. Uno dedicato a Ron Howard, il regista di Inferno, ambientato a Firenze (verdure grigliate, porchetta toscana, rucola, crema piccante). E anche qui grandi code. Per riconoscere dove ha aperto una nuova location basta guardare la fila. Mazzanti, come Donato, ha giocato sulla comunicazione, lavorando con quel metodo di marketing che si chiama food porn, cioè far venire l’acquolina in bocca agli avventori dei social, con video di schiacciata caldissima che viene riempita di affettati, verdure frullate e formaggi Dop, simpatia e abbondanza.
Coda che vedi carboidrato che trovi anche a Torino. Gente in fila di prima mattina attraverso la piazza Carignano, davanti al palazzo dove nacque Vittorio Emanuele II e dove fu proclamato il Regno d’Italia, accanto al settecentesco teatro dove si esibirono Toscanini e Paganini. Cosa porta queste persone a stare in piedi alle 8 del mattino per mezz’ora? Alla Farmacia del Cambio ormai si va per quella che è diventata la prelibatezza sabauda, superando cri-cri, bonet e gianduiotti: il Crubik. Cioè una brioche cubica estremamente fotogenica. Su TikTok ci sono 80 milioni di video con l’hashtag #cubecroissant. Va detto che le tazze del cappuccino restano tonde. “Ne sforniamo tra i 120 e i 150 al giorno, ed effettivamente li finiamo in pochissimo tempo”, diceva lo chef, intervistato. La forma “ricorda un sampietrino di piazza Carignano, quindi aveva anche un significato particolare nel luogo in cui siamo. E poi era molto appagante come gusto, un guscio di sfogliato con una bella farcitura alla crema: nella mia testa non poteva non funzionare”. E infatti c’è stato il boom, che ha portato a riprodurlo in giro per l’Italia. “Brioche cubica, il croissant più virale del web sbarca anche a Genova”, titola GenovaToday. Ora la fanno anche a Rieti. Ci mette poco un trend TikTok a prendere il largo. E anche i pastry chef famosi accolgono la moda modificando la colazione con il proprio estro. A Milano il cornetto quadrato lo fa Clèa Pasticceria e lo chiama KuBom, e c’è anche la versione salata, tipo salmone, o cacio e pepe. A Londra Joël Robuchon la brioche cubica la fa anche ripiena di gelato.
La Cucina Italiana però cerca di togliere il primato al Piemonte come culla delle brioche quadrangolari. Dicono che tutto sia iniziato con un post social del 2018 dello svedese Bedros Kabranian, “campione mondiale di bakery. L’idea è stata sua, e l’ha chiamata Le crube (crasi di croissant e cube)”. Lo stile francese, fa notare la rivista, sta battendo quello italiano, ma si iniziano a vedere anche prodotti da colazione nordici, come le girelle alla cannella (chiamasi Cinnamon twist), mentre l’immaginario d’oltreoceano (muffin, doughnut e altre leccornie da Simpsons) sembra in declino. Sono invece, come in tanti altri settori, molto à la page i giapponesi. Con la loro perfezione materica, senza sbavature, sono arrivati i fluffy pancake, che sembrano tondi cuscini sofficissimi da cartone animato. Nuvole di farina e uova. A Milano, e dove se no? dopo averli sognati vedendoli nei reel, gli utenti dei social possono finalmente addentarli questi pancake, col matcha o col prosciutto crudo, a Ticinese. E anche i panini giapponesi vanno forte, basta sushi, anche qui carne in mezzo a fette di pane: il Katsu Sando, cotoletta di maiale, che è come un Apollo dell’Autogrill, ma orientaleggiante e senza curve. E poi, per la materia prima, boom di panifici che cercano di “complicare il pane” (cit. Samuele Bersani) e di creare nuovi standard.
Re su tutti, a Milano, è Longoni, dove si trova anche una rivista L’integrale, che unisce letteratura e cucina. Pasta madre, farina Senatore Cappelli, ritrovati grani antichi, di tutto pur di elevare la pagnotta. “La gerarchia dei pani e delle loro qualità sanzionava di fatto un confine sociale; il pane rappresentava uno status symbol che qualificava una condizione umana e una classe, a seconda del suo particolare colore che svariava in tutta la gamma dal nero al bianco, prima dell’introduzione del mais nella panificazione che modificò, anche coloristicamente, quella tirannia dei cereali che per millenni si era protratta fra le popolazioni dell’occidente e di tutte le terre di cui le granaglie costituivano l’alimento primario”, scriveva l’antropologo Piero Camporesi. Anche l’unico grande scrittore pop italiano, Fabio Volo, ha deciso un ritorno alla pagnotta. Ha detto al Corriere: “Mi piace la vita che faccio ma ora riaprirò la panetteria di famiglia, a Brescia. Torno alle origini. Non che mi metterò a fare il pane, devo ancora visualizzare cosa ci sarà dentro. Forse sarà una catena. Ma ci sarà anche la foto di papà”.
Se nei dolci, nelle colazioni, siamo in una fase più pazza, con tante pasticcerie e bar che cercano di diventare virali con cornetti giganti, con ripieni strabordanti e gocciolanti, farciti di creme a gusti peculiari, sulla pausa pranzo l’Italia sembra aver fatto il giro. Dopo l’invasione ai Navigli dello street food del mezzogiorno – apoteosi del fritto da passeggio – dopo la grande èra della pizza gourmet che ha generato figli e figliastri – col crostone ripieno, romana al taglio, alla pala, casertana, al metro, fritta, pinsa – e dopo la breve stagione del tramezzino – per un periodo sembrava che i giovani creativi milanesi ordinassero solo da Trapizzino – si torna all’Alfa del carboidrato, si torna al comfort dell’ABC lievitato: il panino.
Con i panini famosi la classe media, se esiste ancora, sa che può godere di qualcosa di cui tutti parlano sui social, spendendo meno di dieci euro
Un effetto nostalgia, forse, come quando nei gruppi Facebook i boomer dicono: “Non c’erano le merendine, mangiavamo pane e pomodoro a merenda ed era bellissimo”, effetto che viene applicato al presente con un twist Dop. Oppure una sempre maggiore vicinanza al panem et circenses, dopo secoli di sofisticazione culinaria. I circenses potrebbero essere Netflix e compagnia, il calcio, i filmoni dei supereroi Marvel e il costante scrolling – scroll or die! – “lo smartphone è un oggetto devozionale di natura digitale, anzi è per eccellenza l’oggetto devozionale del digitale. Come strumento di soggettivazione funziona come il rosario”, dice Byung-Chul Han, il filosofo apocalittico tanto à la page. Abbiamo i circenses in tasca. E invece il panem? Bè, il panem oggi è semplicemente pane. Abbiamo fatto il giro e siamo tornati al grano impastato e infornato. Mussolini aveva scritto una poesiola, apparsa di recente sulle buste di un forno di Arezzo, subito messo alla gogna, che faceva così: “Amate il pane, cuore della casa, profumo della mensa, gioia dei focolari. Rispettate il pane, sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio”.
La classe media, se esiste ancora, tendente al basso, sa che può godere di qualcosa di famoso, qualcosa di cui tutti parlano, soprattutto sui social, spendendo meno di dieci euro. “Seen on tv”, visto in tv, dicevano i magazine vendendo prodotti che erano finiti in qualche televendita, ora invece è “visto su Instagram”. I panini famosi sono il Cracco dei poveri. E’ lo stellato del nuovo proletariato. Un’esperienza prima che un prodotto – siamo nel pieno dell’Experience Age – ma anche una firma, e una faccia, prima che un alimento: il panino di TikTok è qualcosa da ripostare, da farci una o dieci stories, è un evento da raccontare agli amici quando si torna in provincia o nell’interland dopo la gita in centro, dopo il weekend nella grande città a vedere le mostre blockbuster immersive o le vetrine della Rinascente. La pausa pranzo non è solo nutrimento per lo stomaco, ma anche per i follower, e per la propria anima che ha bisogno della serotonina della notifica. Eccoci nell’epoca dell’egemonia del lievitato, della tirannide del carboidrato, che si mescola alla dittatura dell’immersività e della condivisione, della Fomo alimentare e del food porn, della ricerca di osti simpatici da trasformare in personaggi e Vip, la bottega locale che diventa catena, brandizzazione del salumerie, e il tutto con una dose di riscoperto amore per il cibo dei nonni, con prodotti locali e made in Italy – il ministro Lollobrigida dovrebbe esser contento – come un’onda che prova a distruggere l’invasione del fast food degli yankee. E per tornare al Manzoni: “Egli mangiò con una specie di voluttà del pane del perdono: ma ne risparmiò un tozzo, e lo ripose nella sporta onde serbarlo come ricordo perpetuo”.
Antisemitismo e fornelli