Per dare una svegliata agli Oscar più neri della storia serviva la gaffe finale
Negli Stati Uniti di Trump non è ancora tempo di ballare il tip-tap
Era stata una serata tranquilla, quasi soporifera. Fino al pasticciaccio, quando restava solo da assegnare la statuetta al miglior film. Salgono sul palco Faye Dunaway e Warren Beatty, cinquant’anni dopo “Bonnie & Clyde”. Già sarebbero scherzi da non fare, quando uno si tinge i capelli più di Robert Redford e l’altra ha i lineamenti massacrati dal botulino. Beatty apre la busta, guarda, esita. Il pubblico, nutrendo piena fiducia negli emissari della PricewaterhouseCooper che contano i voti e conservano i segreti – sono due, e forse cenano con pietanze diverse come i piloti d’aereo – pensa che l’attore abbia dimenticato gli occhiali nell’altra giacca. Lui allunga il cartoncino a Faye Dunaway, che dà una guardata, pensa “i maschi non sanno sbrigarsela da soli”, e svelta annuncia la vittoria di “La La Land”. Salgono sul palco i produttori e partono i ringraziamenti. Finché chi aveva appena ringraziato ruba il microfono a chi stava ringraziando, annuncia “non è vero, il film vincitore è ‘Moonlight’”, a garanzia sventola un cartoncino. Visto in diretta, sembrava uno scherzo poco divertente e molto imbarazzante. Una gag escogitata da Jimmy Kimmel, presentatore della serata, per svegliare gli attori e gli addetti ai lavori ormai stremati dalle standing ovation (ogni scusa era buona, e quando erano seduti ai loro posti dall’alto scendevano paracadute bianchi pieni di caramelle).
Per svegliare anche un po’ il pubblico a casa: gli unici brividi sono arrivati dal tweet in diretta a Donald Trump (che dopo aver annunciato che diserterà la cena dei corrispondenti ha ignorato anche gli Oscar: pare nella fase “chi non mi vuole non mi merita”). Da tweet crudeli diretti alle celebrità. Dall’irruzione al Dolby Theatre di Los Angeles di turisti scesi da un pullman. Credevano di visitare una mostra di abiti, sono entrati con i telefonini pronti allo scatto – forse qualcosa avevano capito – mentre Keith Urban marito di Nicole Kidman estraeva il suo smartphone per restituire il servizio al popolo in bermuda. Turisti perlopiù neri, questo il colore degli Oscar 2017. Quasi tutti gli attori, i registi, gli sceneggiatori candidati in risposta alla protesta #oscarsowhite ce l’hanno fatta. Mahershala Ali, vale a dire lo spacciatore di “Moonlight”: primo musulmano a vincere la statuetta, dicono dal Guinness dei primati. Viola Davis, moglie piuttosto maltrattata dell’ex giocatore di baseball riciclato netturbino in “Barriere”. Barry Jenkins e Tarell Alvin McCraney – ex ragazzini cresciuti nel quartiere desolato di Liberty City a Miami, come il protagonista appunto di “Moonlight”. Non ce l’ha fatta invece Denzel Washington, sempre per “Barriere”, sconfitto da Casey Affleck: il suo mugugno gareggiava con il mugugno di Ben Affleck, fratello del vincitore.
Poiché le disgrazie non vengono mai sole (e la legge di Murphy ha il suo bel peso nelle faccende umane e cinematografiche) il disguido colpisce dove fa più male. Da una parte il meraviglioso “La La Land” diretto da Damien Chazelle, che a 32 anni è il più giovane vincitore nella storia degli Oscar (varrà almeno quanto essere musulmani, oppure no?). Dall’altra il salvifico messaggio di “Moonlight”, illustrato da facce e corpi – perlopiù maschili – color cioccolato che sotto la luna diventano blu. Il contraccolpo contro “La La Land”, che colpevole di aver messo insieme 14 candidature ne ha acchiappate sei in tutto, era già partito da un bel po’. Per il ripensamento su “Moonlight” serve tempo, ma arriverà. E’ arrivato su Roberto Benigni e “La vita è bella”, i giurati dell’Academy non sempre ci azzeccano, basta ricordare che le statuette vinte da “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson sono in tutto 17. Il premio al miglior film straniero è andato a “Il Cliente” di Asghar Farhadi, rimasto in Iran per protesta contro Donald Trump. Il più scatenato, assieme al messicano Gael Garcia Bernal, in veste di premiatore. Gli altri promettevano sfracelli fino alla vigilia, mentre i votanti facevano bella figura celebrando il ragazzino nero, povero e gay. Mica sono tempi per ballare il tip-tap.