Esce il nuovo film su Wolverine, il Clint Eastwood dei fumetti
“Logan – The Wolverine”, è l'ultima pellicola nella quale Hugh Jackman interpreta il murante della Marvel, capostipite di una nuova generazione di eroi-antieroi
“Avete fatto del vostro meglio, cocchi, adesso è il mio turno!”. Wolverine ritorna dalle fogne con gli artigli sguainati. Era il 1980 ed era la vignetta finale del numero 132 del mensile Marvel “Uncanny X-Men”. È la fine dell’albo, ma vedendolo così i lettori seppero da subito che nel successivo Wolverine sconfiggerà il Club Infernale e libererà i suoi compagni X-Men catturati. Così Wolverine diventa un protagonista, il capostipite di una nuova generazione di eroi-antieroi.
Come molti personaggi della Marvel Comics, Wolverine ha diversi genitori. E’ stato disegnato per la prima volta da Len Wein e Herb Trimpe nel 1974 per una storia di Hulk (è canadese, non americano). Solo l’anno successivo viene aggregato al gruppo degli X-Men, eroi mutanti (cioè nascono con superpoteri che poi sviluppano durante l’adolescenza, non vengono morsi da ragni radioattivi come Spider-Man o colpiti da radiazioni gamma come Hulk), che erano stati creati un decennio prima da Stan Lee e Jack Kirby, i veri artefici dell’Universo Marvel (Fantastici Quattro, Thor, Avengers). Non se li erano mai filati davvero granché. Almeno sino l’avvento dei testi di Chris Claremont (che scrive ininterrottamente gli X-Men dal 1975 al 1991 e vi ritorna negli anni Duemila), specie quando arriva John Byrne, disegnatore e collaboratore alle sceneggiature, canadese come Wolverine.
La serie diventa in pochi anni la più venduta della Marvel. E molto dipese dal fascino di Wolverine, che oltre al suo nome di battaglia (dal nome di un mammifero della famiglia dei mustelidi, in italiano è “ghiottone”), ne ha anche uno “normale”, Logan, che forse non è quello reale, visto che ha un passato misterioso. Colpa di problema anatomico: ha le ossa rivestite da un metallo indistruttibile l’adamantio (esiste solo nel mondo Marvel), che non si sa chi glielo abbia messo. Colpa dei poteri mutanti: quel fattore rigenerante che lo fa invecchiare lentamente (probabilmente ha più di cento anni) e guarire da ogni ferita.
“Ho sviluppato il personaggio di Wolverine cercando di entrare nei suoi panni” spiega Claremont al Foglio. “Mi sono domandato perché fosse un solitario, se si trattasse di una scelta o di una necessità, e quali costi e benefici questo comportasse. Fondamentale per il personaggio è stato rivelare che i suoi artigli non escono dal costume, sono parte del suo corpo. Il lettore si è subito chiesto chi potesse aver messo queste armi bioniche nel suo corpo. E così abbiamo iniziato a lanciare indizi sul suo passato, e a svelare parte della sua personalità: per quanto Wolverine abbia un fattore rigenerante, estrarre gli artigli dal corpo comporta notevole sofferenza per lui, è un guerriero, ma un guerriero ferito”. Wolverine, comunque, beve e fuma smodatamente, e può permettersi di farlo senza conseguenze grazie proprio a questo.
Se gli altri X-Men obbediscono come soldatini al leader, il Professor Charles Xavier, lui lo chiama “Chuck”, lo stesso appellativo rivolto nei Peanuts da Piperita Patty a Charlie Brown (nella traduzione italiana è “Ciccio”). Nasce subito una fortissima attrazione fra lui e Jean Grey, telepate degli X-Men e fidanzata storica di Ciclope, capo del gruppo perché cocco di Xavier. Eh, sì: Wolverine non è asessuato come tanti supereroi del periodo, le donne gli piacciono e lui piace a loro.
Diverso e di rottura: un eroe, certo, ma tormentato e politicamente scorretto (in una storia fuma un sigaro in ospedale e quando gli dicono di spegnerlo polemicamente lo inghiotte). Logan se ne frega del potere, è anarchico, a tratti cinico e individualista, molto simile ai personaggi interpretati all’epoca da Clint Eastwood. Non a caso sfoggiano gli stessi basettoni. E come l’ispettore Callaghan non si fa troppi scrupoli a sparare ai criminali, Wolverine estrae gli artigli e uccide. Cosa inconcepibile per un supereroe dell’epoca: vigeva la no killing rule, i Buoni non potevano uccidere. Per ragioni morali, certo, ma anche per avere più chances di far ritornare i Cattivi in maniera plausibile: se gli avversari di Tex Willer sono quasi tutti intercambiabili, siano essi banditi, indiani in rivolta o proprietari terrieri, e quindi il ranger li può massacrare tranquillamente, quelli dei supereroi sono in genere pittoreschi e carismatici, creare un nuovo Goblin o un nuovo Dottor Destino non è facilissimo.
Un altro attore famoso negli anni Settanta adattissimo a interpretare Wolverine, per indole ribelle, atteggiamenti sopra le righe e aspetto fisico, sarebbe stato Jack Nicholson. Nel film “Wolf” del 1994, quando si trasforma in lupo mannaro la somiglianza è quasi perfetta. Ed è probabilmente un inside joke vedere (all’inizio del film del 2006 “The Departed” di Martin Scorsese) il boss irlandese interpretato da Nicholson comprare alcuni fumetti al suo futuro protetto quando questi è ancora un ragazzino: il primo è il numero 11 della serie “Wolverine”, uscito nel 1989. Wolverine, infatti, ha sempre più successo e si moltiplicano gli albi incentrati su di lui, senza gli altri X-Men.
Quest’inflazione di Wolverine può partorire capolavori, come la miniserie di inizio Ottanta scritta da Claremont e disegnata da Frank Miller, futura superstar dei comics (autore della saga di Batman “Dark Knight”, nonché di “300” e “Sin City”, noti per i film che ne sono stati tratti), o “Weapon X” del 1991 dove Barry Windsor-Smith racconta come gli è stato messo l’adamantio, in una storia onirica e violentissima. Ma, più spesso, storie deludenti, specie quelle che fanno scoprire troppo del suo passato (“Weapon X” è bella anche perché in fin dei conti rivela ben poco, se svela un mistero è soltanto per suggerirne altri), che però non intaccano il fascino di Logan.
Wolverine è stato però un personaggio innovativo anche nei film di supereroi. Nel 2000 quando esce “X-Men” di Bryan Singer nessuno crede più nei film di supereroi dopo il flop di tre anni prima di “Batman e Robin” con George Clooney. Specie nei film Marvel (Batman è della concorrente DC Comics), quelli usciti erano stati tutti dei low budget spesso imbarazzanti (come quello di Capitan America del 1990 con Francesca Neri). Eppure il film ha successo e inaugura il trend (ancora in corso) dei blockbuster di supereroi. Successo in buona parte dovuto a un allora sconosciuto attore australiano che interpreta Wolverine. Hugh Jackman non è tozzo e tarchiato come il Logan dei comics (il classico piccoletto tosto e cattivo), ma riesce lo stesso a darci un Logan carismatico. Fra film degli X-Men, pellicole “a solo” e cameo vari lo interpreta ben otto volte: torna a farlo, per la nona volta, in “Logan – The Wolverine” diretto da James Mangold, adesso nelle sale.
Sarà l’ultima volta, ha dichiarata Jackman, ma è un gran finale. Ispirato alla saga a fumetti “Old Man Logan” di Mark Millar e Steve McNiven, ci mostra un Logan invecchiato a causa del suo fattore rigenerante in crisi, alcolizzato e forse non del tutto a posto con la testa. Un film crepuscolare, che presenta la giovanissima Laura (Dafne Keen), sua clone e probabile nuova protagonista dei film su Wolverine (nei fumetti Logan è – per adesso – morto è c’è lei al suo posto), con un Wolverine/Jackman, davvero molto simile a Clint Eastwood, soprattutto al Clint di “Gunny” e de “Gli spietati”. Un vero ritorno alle origini.
Politicamente corretto e panettone