La rivoluzione da poco della "quota gay" nella Bella e la Bestia
Nel film Disney in uscita il 16 marzo il personaggio di Le Tont è innamorato del machissimo antagonista Gaston, ma resta un personaggio negativo. Scontate proteste da chi vorrebbe che il cinema facesse sempre la cosa "giusta".
Non potremo più tornare indietro dalla scelta rivoluzionaria di inserire il primo personaggio dichiaratamente gay in un film d'animazione. Così ha scritto Vanity Fair Italia, con una pompa quasi minacciosa ma congratulante, nel dare la notizia più discussa e ben accolta sul live action Disney "La Bella e la Bestia", nelle sale dal prossimo 16 marzo, a ventisei anni dal cartone animato.
Il regista, Bill Condon, in un'intervista per il mensile inglese Attitude, dice di Le Tont, il personaggio in questione, che "un giorno vuole essere Gaston e il giorno dopo vuole baciarlo, è confuso, realizza poco a poco i suoi sentimenti". Nel cartone del 1991, Le Tont (Le Fou nella versione originale) era l'amico grassoccio, inetto e pavido di Gaston, il super manzo senza cervello che faceva colazione con dodici uova e voleva sposare Belle, la protagonista. Lei, figlia di un inventore eccentrico e gentile, non ricambiava affatto, innanzitutto perché lui la importunava mentre leggeva, domandandole come facesse ad appassionarsi a libri senza figure.
Il nuovo Le Tont resta, nel nuovo film, un personaggio negativo, dalla parte del cattivo, cioè Gaston. Si sono versati fiumi di inchiostro sul fatto che a interpretare Gaston ci sarà Luke Evans del quale, già due anni fa, Vanity Fair scriveva che "il suo orientamento sessuale non gli ha impedito di interpretare egregiamente ruoli etero e passionali". Cosa che in verità fece anche lo sventurato e immenso Montgomery Clift, che però la sua omosessualità doveva nasconderla, e ne soffriva terribilmente, essendogli capitato di vivere negli anni Cinquanta.
Eppure, qualcosa scricchiola. Il fatto che Le Tont resti un personaggio non esemplare e, per giunta, si innamori dell'antagonista (non uno qualunque, ma l'epitome dei più volgari e grotteschi stereotipi della mascolinità) – sottolinea la rivista Slate – dimostra che quella che la Disney propone come una rivoluzione, di fatto tale non è e, anzi, indulge in due vizi storicamente consolidati: relegare la figura gay ai margini e lasciarla fuori dalla sfera del bene. È complesso azzeccarla quando si pretende che l’espressione (il cinema, in questo caso) faccia la cosa giusta.
"Il bello dei nostri amori è la loro libertà e la loro riprovazione": è la prima frase di Paoli Poli che Aldo Cazzullo riporta nel ritratto che gli dedicò dopo la sua scomparsa, poco meno di un anno fa. Vanity Fair Italia ha ricordato che non è la prima volta che la Disney inserisce scene di amore omosessuale nei lavori che produce. Slate, invece, ha ricordato che i classici del colosso di animazione annoverano almeno un paio di icone queer: Ursula, la strega del mare de La Sirenetta e Scar, lo zio cattivo del Re Leone. Ursula fu ispirata a Divine, il travestito che fu musa di John Waters, regista sporco, irregolare, meravigliosamente disgustoso (Wikipedia scrive “blasfemo”), perché a La Sirenetta lavorò Howard Ashman, suo fan, che da allora scrisse i testi di molte canzoni dei capolavori Disney, compreso anche “La Bella e la Bestia”: morì di Aids nel 1991, poco prima che il film uscisse al cinema.
Slate sottolinea che la storia di Belle e del suo amore per la Bestia reietta, del piccolo villaggio, dove le stranezze sono perseguite con la malafede e i pettegolezzi quando va bene e le forche quando va male, era in sé una storia queer e che le canzoni della prima edizione, scritte proprio da Ashman, insegnavano ai bambini a riconoscere nel diverso un mistero di cui appassionarsi senza intimorirsi. L’ampiezza di quel messaggio veniva pertanto trasmessa con maggiore efficacia nel cartone animato, dove non si imprimeva – né codificava in un personaggio stereotipato – la normalità omosessuale per insegnare ad accettarla e riconoscerla. Le Tont, invece, è una concessione, una quota gay, la parte di uno schema che, se rispettato, rende inattaccabili i prodotti destinati al pubblico. Sembra, quindi, che nel 1991 “il messaggio” nascesse dalle storie, mentre nel 2017 il messaggio fa la storia, trasformando i personaggi in maschere. Una rivoluzione da poco.