Victoria esce in poche sale: l'Italia non è un paese per spettatori di cinema
Quello di Sebastian Schipper è uno dei più gustosi film da godersi quest’anno, ancora più prezioso perché esce in periodo di magra dopo gli Oscar
Un paese di poeti, santi, navigatori. Di creduloni, convinti di essere furbi come i fratelli maggiori sono dietrologi (nessuno pensa mai che le cose possano funzionare alla maniera di Groucho Marx: “ha la faccia da cretino, parla come un cretino, è un cretino”). Pronti ad appassionarsi davvero solo per il pallone. Commuove, su Twitter, osservare gente che ridisegna il mondo, filosofeggia sulle fake news, fa passare il broncio a Laura Boldrini con proclami femministi, e si accapiglia sul calcio appena comincia la partita. Poi, invece della fantozziana frittata con cipolle, via con le ricette e gli impiattamenti (un amico scrittore confessava che ormai tra lui e l’amico cuoco le ragazze puntano al cuoco).
Di sicuro non è un paese per spettatori di cinema. “Victoria” – due anni fa alla Berlinale – è uno dei più gustosi film da godersi quest’anno, ancora più prezioso perché esce in periodo di magra dopo gli Oscar. Ha avuto il massimo punteggio sul Guardian, sul Village Voice, su Variety. Esce con poche misere copie, da scovare in cinemini periferici. Non è neanche un musical, quindi non vale invocare la barriera culturale che tiene distanti da “La La land” del ragazzo prodigio Damien Chazelle. Unico vantaggio della povertà: la lingua originale con sottotitoli.
Forse gli ha dato una spintarella verso le sale Woody Harrelson. In “Lost in London” ha rifatto a Londra quel che il regista Sebastian Schippel fa a Berlino: un piano sequenza lungo quanto l’intero film (il tour de force fu proiettato live al cinema, lo scorso gennaio). Potrebbe essere un dettaglio da cinefili, foriero di noia mortale. Non tutti, per esempio, riescono a divertirsi con “L’arca russa” di Alexander Sokurov, piano sequenza tutto dentro l’Ermitage: oltre ai quadri esposti ci sono orchestre che suonano, ballerini che saltellano e scenette per ripassare la storia e la letteratura russa, compreso un Pushkin dalla pelle assai scura.
Victoria è una ragazza spagnola a Berlino, in discoteca si fa rimorchiare da tre giovanotti, alle quattro del mattino. Passeggiano un po’ per le strade, salgono sui tetti a chiacchierare, abbiamo timore per lei, la mamma non le ha spiegato che non bisogna dar confidenza agli sconosciuti. Un “vedo gente faccio cose”, che ci sarà mai di straordinario? C’è che ha una fantastica trama, imprevedibile nei suoi colpi di scena. Ha un’attrice incantevole e bravissima, si chiama Laia Costa. Mai dà l’impressione di essere finto o artefatto, e anzi sembra improvvisato. I movimenti di macchina sono a volte tranquilli e a volte frenetici, tra momenti romantici e momenti da brivido. Dai tetti si passa ai garage sotterranei. Nei paesi che amano il cinema “Victoria” ha avuto tutto il successo che meritava. Volendo fare un paragone, con un altro film geniale che senza zeppe e spiegazioni costruisce un mondo, viene in mente il viaggio in auto di “Locke”.
Politicamente corretto e panettone