Un film su Berlusconi sì, ma senza finale
Pare che Sorrentino girerà davvero un film sul Cav. (prodotto da Amazon?) e allora ecco quattro consigli per evitare fellinate. Attore: Placido Domingo. Titolo: Araba Fenice. Trama: l’arcitalianità. Plot: le nozze. Finale: impossibile
Mi dicono che Sorrentino il regista vuole girare davvero un film su Berlusconi, forse prodotto da Amazon. E’ una notizia, dovrei tenermela per me, non sono forse un giornalista? Faccio eccezione perché a tutto posso resistere tranne che alla tentazione di dargli qualche consiglio per il trattamento della storia. Primo. Evitare fellinate tipo la dolce vita di Arcore eccetera. Secondo. Raccontare la voce del Cav., che è il suo lato di charme più evidente ma anche il meno afferrato. Sì, si sa che canta bene Léo Ferré, ma non è quello.
E’ che in Parlamento non è mai risuonato un timbro, uno spettro di colori vocali, un’intonazione come la sua. Ha di Frank Sinatra, e in politica questo tipo di fisicità vocale è così rara, le voci sono legnose, le intonazioni sarcastiche, nell’insieme si ha spesso l’idea che sia una macchina stridula a parlare per la persona, effetto spiacevole. Dico che gran parte del successo immediato di Berlusconi è dovuto al sonoro, al consonantico, alla ritmica vocale su una struttura quasi perfetta tra tenore di grazia e baritono alto, per così dire, giovanile. Non Verdi, necessariamente, forse Berlioz. E chi pensi che si tratta di un’irrilevanza snob, chi non abbia la vocazione a cogliere la differenza tra la monotonia incolore di un Bersani o di un Gotor e la melodia naturale che esce dai discorsi di Berlusconi in Parlamento, bè, rinunci a capire la politica come spettacolo e come arte, dunque la politica. Terzo. I risultati. La leggenda metropolitana vuole che abbia promesso una rivoluzione liberale e ottenuto niente. Balle. Nel trattamento, definizione e svolgimento di una storia immaginaria, non può non esserci l’arcitalianità, dunque la generosa influenza del Cav. sul suo paese, come produttore di format televisivi (magari importati, ma con senso del profitto e genio del momento) e format politici, originali, unici, senza precedenti.
Cambiare il modo in cui un paese parla di sé stesso, della società civile, dello stato, dei partiti non è un’impresa che anche l’artista più rarefatto, prezioso, geloso del suo racconto e del suo stile simbolista, può sottovalutare. Naturalmente non si tratta di propaganda politica, siamo mica ai tempi della famosa Corazzata eccetera, che pure era un film magistrale. Nella parte del Cav. andrebbe bene Placido Domingo, e il Cav. giovane è Jonas Kaufmann. E la trasformazione integrale del sistema di vita e di pensiero degli italiani, quella che fa tanto penare i Montanari e i Viroli, gli spasimanti della cultura alta resi sempre cornuti dalla politica bassa, deve comunque trovare un posto, di risvolto, di lato, di sotto, dove Sorrentino voglia, ma deve trovarlo, sennò diventa una storiella creativa qualsiasi. Quarto. Occhio al matrimonio. Berlusconi ha avuto una prima moglie, esemplare come Cornelia per il suo riserbo londinese. Una seconda moglie meravigliosa di cui era molto innamorato e che giudicava la più bella, a giusto titolo. Dev’essere successo qualcosa, perché a un certo punto è arrivato il pedagogo Rudolf Steiner, è arrivato il limite all’uso della tv per i figli di Sua Emittenza. La crisi di un matrimonio, per un uomo privato deciso a restare tale, et pour cause, nonostante l’impegno totalizzante e lancinante nella vita pubblica, non è quel che si dice un subplot, è il plot, è la storia stessa, e se gli italiani avessero potuto pensarci liberamente senza la distrazione della lap dance, quella che riguardava solo lui e le sue amiche, non i magistrati pruriginosi, non saremmo arrivati a tanto.
Quattro appunti va bene, ma il problema è che non c’è il finale. Berlusconi non lo desidera. Lo condannano per frode fiscale? E’ alla Corte europea in attesa di riabilitazione, e intanto se la vede con la Merkel, con Renzi, mentre Sarkozy, il suo ex costoso avvocato che si permise di deriderlo mettendo Angela in imbarazzo (particolare che al Cav. non era certo sfuggito), si è impiegato in una catena di alberghi. In modi diversi Toti e Brunetta vogliono la loro parte di gloria, lui gliela offre con la sua incostanza dongiovannesca, con le sue seduzioni e le sue dannazioni, sa che la loro parte di gloria sarà sempre un riflesso della sua, che è la parte più importante, la tranche de vie che conta, anzi è la torta. Salvini striscia appresso a Putin, lui alza il telefono e ci gioca sopra, lui sa che il suo amico è utile se viene alla Nato, non se un bullo americano lo fa signore d’Europa. La moneta fiscale per temperare gli effetti omologanti pro-tedeschi dell’euro?
Quello che è ridicolo in bocca a Grillo, e al suo vernacolo, è lirismo dell’economia finanziaria e arte del possibile nella visione barocca di Silvio B., e se mancano i voti all’appuntamento, bè, questo è sempre per un breve momento, lui non va mai in tv, è in riserva della Repubblica, al momento buono farà come Cuccia, avrà le azioni giuste e saprà che sono quelle che pesano di più. Il Caimano di Moretti era un’apologia di Berlusconi uomo nero, finiva con l’eroe Moretti perfettamente identificato nel Cavaliere che si allontanava dal tribunale dopo la disfatta in auto, il volto significativo, espressivo, vòlto al domani, mentre l’Italia veniva messa a ferro e fuoco, perfetta cinematografia di regime in stile con il nostro passato. Già, c’è il problema del titolo: andrebbe bene la Chimera, sennò l’Araba Fenice. Ma non voglio esagerare con i consigli.