Anche il cinema ha una nuova religione: l'ecologia

Mariarosa Mancuso

Eco Supervisor, si chiama. E’ la coscienza ecologica di ogni produzione che punti al green label, o patentino di non inquinamento

Make movies without making a mess. Girate i vostri film ma lasciate tutto in ordine. La mamma che bacchetta i registi e i produttori si chiama ecologia: calcola l’impronta carbonica, controlla la raccolta differenziata, suggerisce lampade led, guarda nei camerini del trucco e del parrucco buttando via i prodotti di origine animale, esige auto elettriche e vestiti a chilometro zero, oltre che materiali di costruzione green-friendly. Sembra la negazione del cinema, ma bisognerà farci l’abitudine. In Europa almeno, Donald Trump non sembra sensibile al problema, se potesse vorrebbe indietro i minatori con il nero in faccia (magari anche la gabbia con il canarino per segnalare l’esplosione che verrà).

 

Eco Supervisor, si chiama. E’ la coscienza ecologica di ogni produzione che punti al green label, o patentino di non inquinamento. Esiste in Austria, esiste in Germania, esiste perfino in Sardegna, che ha varato il progetto Heroes 2020. Destinato a chi legge e rispetta il volumetto “Guida alla realizzazione di una produzione audiovisiva sostenibile” (di nuovo sentiamo che il cinema si allontana, come le belle lampadine con il filamento: le nuove durano un sacco ma sinistramente tendono alla luce da obitorio). Hanno mandato un Eco Supervisor sul set in Uganda di “Queen of Katwe”, storia di una ragazzina con la passione per gli scacchi. Nessuno prima aveva mai differenziato un rifiuto, in mancanza dei medesimi.
“Green Film Shooting” – inteso come sito e come rivista stampata su carta proveniente da fonti rinnovabili, con inchiostri che si potrebbero mangiare – è la bibbia europea dei nuovi credenti. Ospita pubblicità intonate alla causa, per esempio gli studi della Bavaria Film: garantiscono film e serie tv a impatto zero (e intanto uno deve contare fino a un milione per non pensare a cosa accadeva da quelle parti qualche decennio fa). Riscaldamento geotermico, elettricità proveniente dalle turbine mosse con le cascate, e tutto quel che un regista sensibile al verde ormai esige. Sentiamo che cose terribili accadranno: per esempio, potrebbero sparire le meravigliose tinte di “Gran Hotel Budapest” di Wes Anderson. Già le bottigliette di aranciata sono diventate giallognole perdendo il brillante arancione che fu.

 

La distribuzione via server dei film è più ecologica delle copie caricate su un camion. Di più: l’energia prodotta da un film di animazione intitolato “Plancton Invasion” è servita a riscaldare la piscina parigina di Butte aux Cailles, nel tredicesimo. Non è la trama di “Monsters & Co”, con le turbine azionate dalle urla dei bambini che trovavano il mostro nell’armadio. Bisogna sapere che i computer preposti all’animazione scaldano parecchio, e che la ditta Stimergy riesce a recuperare l’80 per cento del calore generato. Quanto basta appunto per scaldare l’acqua di una piscina.

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