Guardiani della Galassia, la space opera retro dell'universo Marvel
Con il suo secondo film sul gruppo di scalcinati “eroi”, da oggi nei cinema, James Gunn continua la sua visione “d’autore” fra commedia e omaggi agli anni Ottanta
I film dei Guardiani della Galassia di James Gunn sono pellicole d’autore. Può sembrare strano chiamare così un blockbuster ispirato a una serie a fumetti (e neanche particolarmente bella), ma il regista ha interpretato secondo una personalissima visione i personaggi. Ed è quello che fa un autore.
Del resto nel film “Ed Wood” di Tim Burton, il “regista peggiore del mondo” e il maestro Orson Welles si incontravano in un bar e scoprivano di avere la stessa visione del cinema. Gunn ha realizzato sul grande schermo quello che nei fumetti della Marvel avevano fatto Frank Miller con Daredevil, Chris Claremont con gli X-Men e Peter David con Hulk: ha preso personaggi dei quali, all’epoca, importava ben poco a tutti e li ha interpretati in chiave personale.
I Guardiani hanno avuto due versioni nei fumetti: nella prima, creata nel 1969 sono un corpo di polizia galattico del XXXI secolo. La seconda risale invece al 2008, opera dei britannici Dan Abnett ed Andy Lanning, ha nuovi personaggi ed è ambientata nell’epoca attuale.“L’editor Bill Rosemann ci aveva chiesto di creare una nuova squadra di eroi cosmici, suggerendo il nome di Guardiani” racconta al Foglio Lanning. “Ci siamo resi conto che non c’era nessun team dei Guardiani nell’universo Marvel attuale, visto che le loro avventure erano ambientate nel XXXI secolo: è stato bello giocare con l’idea che ci sia sempre stata la necessità di una squadra di Guardiani della Galassia nell’universo Marvel”.
È questa versione che approda al cinema nel 2014, con un gruppo formato da un procione parlante (Rocket, anche se lui nega di essere un procione), un mezzosangue umano-alieno, Peter Quill (che si fa chiamare Star-Lord, signore delle stelle, suscitando l’ilarità generale), un energumeno stile Hulk (Drax), una sexy guerriera verde (Gamora) e un albero umanoide che dice solo “Io sono Groot” (ma a seconda del tono di voce la frase può significare qualsiasi cosa). Uno dei film più insoliti dell’universo Marvel – “Se nel 2008 qualcuno ci avesse detto che ci sarebbe stato un film sui Guardiani della Galassia lo avremmo preso per pazzo” ha commentato Lanning – e più “autoriali”.
Di molti personaggi originali, Gunn si limita a prendere il nome, rielaborandoli secondo la propria visione, e creando così il successo della prima pellicola del 2014, una brillante commedia di fantascienza con svariate citazioni anni Ottanta. I Guardiani sono una banda di falliti che agisce nello spazio, lontano dalla terra di Iron Man e Capitan America.
Il sequel, al cinema dal 25 aprile, continua sugli stilemi del primo film, esasperandoli. Battibecchi continui fra i personaggi (con gag soprattutto fra Rocket e Drax), un Groot che adesso è un tenerissimo bimbo-pianta, dopo essere stato ridotto a seme nel primo film, una colonna sonora fra Settanta e Ottanta, e tantissime citazioni pop. Alcune specifiche da parte di Quill che, rapito da bambino, ricorda con affetto la cultura pop con cui è cresciuto, dai pupazzi dei Masters all'attore David Hasselhoff della serie tv “Supercar” (c’è pure una sua canzone nella colonna sonora). Ma anche la tensione erotica fra Quill e Gamora viene ricondotta da Quill a quella fra Sam a Diane di “Cin Cin”, celebre sitcom anni Ottanta (a noi ricorda più quella fra Bruce Willis e Cybil Shepherd in “Moonlighting, per citare un’altra serie tv del periodo). Altre sono citazioni indirette: come i videogiochi Pac-Man e Space Invaders o l’atmosfera generale, che ricorda quella di molti film dell'epoca: da “L’Impero colpisce ancora” (citato in una inquadratura nel finale) a “Grosso guaio a Chinatown”, visto che Quill, eroe poco eroico e molto cazzone, ricorda non poco il Kurt Russell del film di Carpenter.
Stavolta i Guardiani incontrano il padre di Peter, un potente pianeta senziente, Ego: e non è certo un caso che la sua incarnazione umana sia interpretata proprio da Russell. Un omaggio all’attore e all’immaginario che ha creato, un po’ come, dieci anni fa, il suo ruolo in “A prova di morte” di Quentin Tarantino. Stan Lee, che ha co-creato moltissimi personaggi Marvel (da Spider-Man ai Fantastici Quattro a Hulk), ma che con i Guardiani non ha avuto niente a che fare, ha l’immancabile cameo (stavolta doppio). Ed è uno dei più divertenti, che lo vede alle prese con gli alieni noti come Osservatori (i nerd li riconoscono subito, anche se nel film non hanno nome), un grandioso novantaquattrenne nello spazio profondo. Ed è un omaggio al passato e ai suoi giustizieri fantascientifici in film come “Judge Dredd” e “Demolition Man” anche la presenza di Sylvester Stallone. Qui è il leader dei Ravagers, poliziotti galattici che ricordano la precedente versione dei Guardiani.
Un sequel, come spesso capita, leggermente inferiore all’originale, e con un tema (i rapporti fra le persone, padri e figli, amici, sorelle) interessante ma fin troppo esplicitato, ma sempre molto divertente e personale, un nostalgico e ironico tributo alla cultura pop con la quale Gunn, classe 1970, è senz’altro cresciuto. E, senza spoilerare nulla, ricordiamo che se in un film di fantascienza uno dice al protagonista “io sono tuo padre”, in genere non è un tipo molto affidabile.
Effetto nostalgia