Lily Collins (foto LaPressE)

Complottismi a Cannes

Mariarosa Mancuso

Al festival del cinema si vive nella bolla, qualsiasi incidente assume proporzioni gigantesche. Soprattutto se si tratta di Netflix

Un comunicato più goffo non si poteva congegnare, per far da calamita alle teorie del complotto e alle ipotesi di sabotaggio. No, non vi siete persi le ultime breaking news, è che al festival di Cannes si vive nella bolla, qualsiasi incidente assume proporzioni gigantesche (quando una signora fu respinta a una serata di gala perché in ciabatte, scoppiò il dibattito: sul tappeto rosso vige l’obbligo dei tacchi?). Se poi l’incidente coinvolge l’arcinemico Netflix – “una multinazionale che vuole la morte delle sale”, nel garbato tweet di un primario distributore francese, “l’imperialismo culturale americano” nelle pacate dichiarazioni di Christophe Tardieu al New York Times – è subito polemica. Parte la proiezione di “Okja” diretto dal regista coreano Bong Joon-ho (il presidente della giuria Pedro Almodovar – libertari si nasce – ha già detto che non lo premierà, il cinema esce in sala o non è cinema) e manca mezza testa di Tilda Swinton. Urla e fischi (tanti per la verità avevano già fischiato alla scritta Netflix), dopo una decina di minuti la proiezione riparte, stavolta con le teste intere. Incidente tecnico, può capitare (anche se non l’abbiamo visto capitare mai in vent’anni e più di Cannes). Però quando leggiamo nel comunicato ufficiale “l’incidente è dovuto soltanto ai servizi tecnici del festival, che si scusano con tutti gli interessati” diventiamo complottisti pure noi, che alle dietrologie non crediamo perché la gente è distratta, e non riesce a far funzionare le cose neppure alla luce del sole. Immaginiamo guerriglieri che come gli attivisti di Greenpeace danno un colpo in testa al proiezionista o manovrano le corde per tirare giù mezzo sipario.

 

I guerriglieri con il passamontagna sono anche nel film, appartengono al Movimento di Liberazione Animale capeggiato da Paul Dano (attore sempre perfetto nei ruoli da fanatico). E arriva la multinazionale cattiva, capeggiata da Tilda Swinton vestita Chanel (un’altra che nel ruolo si trova bene). Ha fabbricato in laboratorio 26 maialini geneticamente modificati, li ha affidati ad altrettanti allevatori. Uno, appunto, si chiama Okja ed è femmina. Dopo dieci anni è diventata gigantesca, intelligentissima, affettuosissima verso la figlia del contadino. Ella non sa ancora che vogliono ricavarne salsiccette a poco prezzo. Sistemate le pedine, non è difficile immaginare il seguito, visita al macello compresa.

 

Bong Joon-ho era stato più originale in “Snowpiercer”, dove il mondo era ghiacciato perché i buoni volevano raffreddarlo. Gli unici sopravvissuti vivevano su un treno, rigidamente divisi in classi. Ma la combinazione tra il maiale e la bambina – in gara di occhioni, certo – ha tutto per diventare il film di culto di chi è diventato vegetariano dopo aver letto “Se niente importa” di Jonathan Safran Foer. A occhio, gli stessi che in materia di cinema sono contrari a Netflix.

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