Perché abbiamo bisogno di Jack Sparrow
Mentre al cinema esce “La vendetta di Salazar”, il quinto film della saga dei Pirati dei Caraibi raccontiamo il fascino del pirata interpretato da Johnny Depp
Ci sono personaggi che non occupano un mondo, ma sono un mondo. Personaggi come Amleto, come Paperon De’ Paperoni. O come Jack Sparrow.
Non è un pirata, è il pirata. Tutto il mondo gira attorno a lui. Che si tratti del suo nemico e occasionale alleato Capitan Barbossa, oppure della coppia William Turner ed Elizabeth Swann (lei lo rifiuta perché è pur sempre la figlia del governatore, può trasgredire per seguire il fabbro figlio di pirata Turner, ma lui sarebbe un po’ troppo), della strega marina Calypso, della figlia del Pirata Barbanera o dei marinai fantasma guidati dal capitano Armando Salazar del nuovo film dei Pirati dei Caraibi, il quinto della serie, adesso nelle sale (“La vendetta di Salazar”), è lui il perno dell’azione.
Tutti lo conoscono, tutti lo cercano, spesso per imprigionarlo e condannarlo a morte se autorità britanniche, per vendicarsi di lui se colleghi pirati o donne tradite, o anche per chiedere il suo aiuto come fa Henry, il figlio di William ed Elizabeth in “La vendetta di Salazar”.
Il primo film, diretto nel 2003 da Gore Verbinski, è una scommessa: il genere piratesco è morto da anni (e non è mai stato di grande successo), e, anche se sulla carta il film è ispirato all’omonima attrazione dei parchi Disney, in realtà quella dei Pirati dei Caraibi è una delle poche saghe davvero originali degli ultimi vent’anni, non tratte da libri o fumetti oppure remake di film o serie tv del passato.
Ma ha successo, per il mix di avventura e horror e per il personaggio di Jack Sparrow.
All’epoca Johnny Depp è ormai una star e un sex symbol da oltre un decennio, è il contraltare dionisiaco dell’apollineo Brad Pitt (e infatti le ragazze dicono quasi tutte di preferirlo all’ex di Angelina Jolie).
Con Jack Sparrow crea il suo personaggio: un pirata rockstar, ispirato alla personalità di un’altra rockstar come Keith Richards, un eroe davvero sui generis.
Non è l’eroe invincibile e figo alla Iron Man, né l’eroe tormentato alla Batman o alla Rambo, neppure il figlio di Rambo e Rocky su due ruote come il Dominic Toretto di “Fast & Furious”. Anzi è così poco eroe e propenso alla fuga da non sembrare neppure un eroe.
Però è un uomo libero, che si lascia guidare dall’istinto ladresco, ma anche dalla simpatia umana, scarso come combattente però molto fortunato (nel nuovo film bellissime le sequenze dove è su una forca in movimento con la ghigliottina – un’importazione dalla Francia – che si alza e si abbassa su di lui).
C’è tutto Jack Sparrow in questa frase che dice a Barbossa nel primo film: “Io sono un disonesto, e un disonesto puoi sempre confidare che sia disonesto. Onestamente parlando, è dagli onesti che devi guardarti, perché non puoi mai prevedere quando faranno qualcosa di incredibilmente stupido.”
E, poi, contraddicendosi, aiuta William Turner che Barbossa, reso morto vivente da una maledizione, vorrebbe sacrificare in un rito per tornare umano.
C’è quasi una sorta di ingenuità disneyana (del resto, a produrre è la casa che il vecchio Walt costruì) nel mondo dei Pirati dei Caraibi. Con i pirati che vestono da pirati e si comportano da pirati anche sulla terraferma, così che tutti li possono identificare e denunciare alle autorità. Jack ha un padre pirata interpretato proprio dall’immortale Keith Richards e nel nuovo film pure uno zio pirata incarcerato da decenni, che è Paul McCartney. Una famiglia di pirati come i Bassotti disneyani sono una famiglia di ladri. Jack Sparrow è una rockstar come Richards e McCartney. Del resto negli anni Settanta Julio Iglesias (rockstar no, ma popstar latina sì) non cantava “Sono un pirata e un signore?” Jack Sparrow è poco signore ma molto pirata.
E in un mondo sempre più ipocritamente politicamente corretto c’è ancora più bisogno del suo felicemente amorale esempio.